
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Le promesse estive di «emozionare la gente», dimenticate nella mediocrità di un campionato senza sussulti. A nove mesi esatti dal concepimento del suo progetto quelle emozioni, nella Roma di Luis Enrique, fanno rima con delusioni. Lui, il guru asturiano arrivato dalla Spagna per innestare nella capitale il germe del calcio barcellonista
Disorientato, al punto da attaccare briga in conferenza stampa, scomodando paragoni quantomeno prematuri: «Sapete allenatori come Cruijff e Ferguson quanto hanno impiegato a vincere? Nessuno di loro ha vinto al primo anno». E pazienza se Allegri e Guardiola sono esempi opposti. Ma stasera allOlimpico arriva lUdinese, ultimo treno per lEuropa, e la guardia del tecnico torna già alta. In fondo, le speranze di regalare unemozione non sono esaurite: «Ho ancora lillusione di arrivare al terzo posto», spiega Luis, pur dovendo riconoscere che «ogni volta in cui ci siamo avvicinati realmente alla lotta per la Champions abbiamo fatto una figuraccia. Ma non mi vergogno mai della squadra, anzi sono orgoglioso dei miei ragazzi». Gli stessi abbandonati però durante la sfida di Lecce, quando subito dopo aver subito il primo gol avversario, lallenatore di Gijon era sprofondando sulla panchina, quasi nascosto da una mano sulle labbra, ritraendosi in un affranto mutismo durato tutta la partita. Un segnale di resa interpretato perfettamente dai giocatori in campo, salvo poi tradursi in tensioni negli spogliatoi.
A Trigoria, lumiliazione salentina aveva prodotto uno sfogo più amaro che rabbioso: «Non capisco questi cali e così non so come intervenire», aveva detto il tecnico ai suoi uomini, dopo lallenamento di pasquetta. Un modo decisamente diretto per chiamare il gruppo alle proprie responsabilità. Ma un po perché infastidito dalle eco rimbalzate dai media sui confronti di spogliatoio, un po per la fragilità mostrata da alcuni singoli (come José Angel, scoppiato in lacrime dopo gli insulti ricevuti da alcuni tifosi lunedì pomeriggio durante un momento di svago con la fidanzata) la versione pubblica di Luis ha assunto altri accenti: «Sono io lunico colpevole, lasciate in pace i nostri giovani, non massacrateli con le vostre bugie». Un ritratto da soli contro tutti che poco però rappresenta la Roma di oggi, pazientemente sopportata dal pubblico, nonostante un flop da 12 sconfitte in 31 incontri di campionato, una ogni due gare e mezzo. Curriculum da bocciatura, che però non spingerà Luis alladdio a fine stagione: «Non mi dimetto, lo farei soltanto se i giocatori non mi seguissero più o se la società pensasse che non sono allaltezza». Dal club, invece, lappoggio è incondizionato: quello di Baldini, ma anche della proprietà americana, che giovedì muoverà verso Roma i propri manager (il capocordata Pallotta resterà però negli States, DiBenedetto verrà solo per la partita di domenica a Firenze) per dare corpo a un aumento di capitale da 50 milioni. E se i soldi non regalano la felicità, lallenatore spagnolo una mano la chiede al pubblico: «Abbiamo bisogno di tranquillità e fiducia, un clima che forse non meritiamo ». Intanto ritroverà Pjanic e soprattutto Totti, cui ha chiesto la disponibilità ad esserci raccogliendo una convinta adesione, nonostante la condizione ancora incerta. Progetto o meno, a lui resta difficile rinunciare. Anche per Luis Enrique