El Niño, storia da predestinato

30/03/2012 alle 10:34.

IL ROMANISTA (L. PELOSI) - «Con Fernando ho giocato, nell’Atletico. E’ un grande giocatore, potente e veloce. Non è un bomber, tipo Trezeguet o Inzaghi. Mi ricorda Weah: può segnare 12-15 gol a campionato. E’ fondamentale per gli spazi che apre ai compagni: è generoso e forte» . Questo è Torres, secondo la

Chi è quindi, Fernando Torres? Un ex goleador che da un po’ di tempo non vede più la porta? Un giocatore totale che non va valutato solo per i suoi gol? Oppure, più semplicemente, un ragazzo che ha pagato il conto alla predestinazione? Anche da giovanissimo, agli esordi nel grande calcio, dimostrava meno anni dei pochi che aveva. Di qui il soprannome, “El Nino”, per quella faccia da bambino che si porta dietro anche oggi, a 28 anni. Nato biondo, è passato attraverso varie tinture, tanto da guadagnarsi anche un secondo soprannome. “Mechato”. Tanti colori. Oggi il blu del Chelsea, ieri il rosso del Liverpool, alle origini il biancorosso dell’Atletico Madrid. «Ammiro molto – disse due anni fa in un’intervista a Sportweek – perché è riuscito a fare quello che non avrei voluti fare io con l’Atletico Madrid: giocare tutta la carriera con la sua squadra del cuore».

Il suo cuore è sempre stato per i “colchoneros”, che già quando aveva 11 anni e al suo primo approccio con il calcio aveva segnato 55 gol in una stagione, avevano messo gli occhi sul ragazzo biondo nato a Fuenlabrada, pochi passi da Madrid. Predestinato, appunto. Non poteva essere che lui a metter fine a una maledizione lunga 44 anni. «Ora sono come Marcelino», disse subito dopo aver segnato il gol che regalò alla Spagna l’Europeo 2008. Così si chiamava il giocatore che, 20 anni prima della nascita del “Nino”, aveva fatto vincere alla Spagna il suo unico (fino ad allora) trofeo internazionale, cioè l’Europeo del 1964. Quel giorno aveva i capelli giallorossi. Era l’apice della carriera del terzo giocatore al mondo dietro e Cristiano Ronaldo. L’Europa impazziva per lui. Istinto, impeto, straripante, una corsa feroce ovunque ci fosse erba da calpestare, in spazi sconosciuti agli avversari.

Riguardatevi quel gol in finale contro la Germania: c’è tutto Torres: il lancio di Fabregas sembra coglierlo in ritardo e fuori posizione, ma il Nino scatta, gira intorno a Lahm a velocità vertigionsa, poi accarezza la palla quel tanto che basta per mettere fuori causa il . In quel momento s’è compiuto il suo destino che era già scritto da un bel po’: eletto miglior giocatore europeo under 15 nel 1998, nel 1999 firma il suo primo contratto con l’Atletico Madrid. Debutta in prima squadra, dopo aver superato un brutto infortunio, il 27 maggio 2001 al Vicente Calderon e diventa così il più giovane giocatore di sempre a scendere in campo con la maglia biancorossa. Una settimana dopo arriva la prima delle sue 91 reti con la maglia dell’Atletico di cui nel 2003, a 19 anni, diventa capitano. Nel frattempo, con la Spagna vince l’Europeo Under 16 nel 2001 e l’Europeo Under 19 nel 2002. In entrambi i casi, la finale è sempre la stessa: 1-0 per la Spagna, gol di Torres. La Germania, insomma, era stata avvisata. Nel 2004 arriva l’esordio anche con la maglia delle Furie Rosse. Con gol contro l’Italia, nella partita organizzata a Genova apposta per festeggiare l’addio alla maglia azzurra di Roberto Baggio. Roba da predestinato. In quegli anni all’Atletico Madrid passa anche Arrigo Sacchi, che convince il Milan a provare a prenderlo. Ma Jesus Gil, presidente non ancora in bancarotta, alza il prezzo ad ogni telefonata di Galliani, come fa con il Chelsea e col

. Tanti i tentativi falliti. Il primo l’aveva fatto nel 2000 un dirigente italiano, che s’era accorto prima di altri del talento di questo ragazzo biondo: Franco Baldini. Quando Jesus Gil da “vulcanico” diventa ufficialmente “bancarottiere”, Torres deve partire. L’asta se l’aggiudica nel 2007 il Liverpool per 36 milioni di euro. E’ il definitivo trampolino di lancio, anche se da quel fantastico 2008 qualcosa s’inceppa. Eppure, tra un problema fisico e l’altro, sempre meno biondo ma pur sempre “Nino”, in un anno e mezzo riesce a segnare altri 39 gol in 70 partite con la maglia dei Reds. Mette la firma sul derby con l’Everton, realizza contro il Manchester la rete numero 1000 della storia dei Reds in Premier League, è il migliore in campo quando, in , il Liverpool batte 4-0 il Real Madrid. Il primo gol è il suo.

Abramovich spende 58 milioni di euro per portarlo al Chelsea. E’ il suo acquisto più costoso. Nel frattempo, ha anche vinto un Mondiale, giocando tutte le partite anche se è proprio lì che s’inizia a parlare di crisi, dato che non segna mai, in finale entra durante il supplementare e dopo pochi minuti esce per un infortunio che lo terrà fermo più di 2 mesi. Intanto se ne va, arriva Villas Boas, che lo vede decisamente poco. Ci vuole Di Matteo per riportarlo in campo con convinzione e per fargli ritrovare il gol. Dopo 5 mesi di digiuno, arriva una doppietta nei quarti di finale di FA Cup contro il Leicester.

Ma se valutarlo solo per i gol fosse limitante? Se fosse tutto un grande equivoco? «Non è un bomber. E’ fondamentale per gli spazi che apre ai compagni. E’ generoso e forte». E’ ancora “El Nino”, ha 28 anni, ha già uno stadio intitolato a lui: quello di Fuenlabrada. Per inaugurarlo, l’1 settembre 2011, ha sfidato l’Atletico Madrid. La squadra dove Fernando Torres ha lasciato il cuore. Voleva essere