IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) - Allenatore professionista in attesa di sistemazione; opinionista in carriera; ballerino dilettante sotto i riflettori della tv. Marco Delvecchio, classe 1973, milanese con il cuore metà
Quindici derby, e nove reti, ma esordio con sconfitta.
«Esatto. Perdemmo (Lazio-Roma 1-0, 18 febbraio 1996) per un calcio di rigore di Signori a pochi minuti dalla fine, dopo che Lanna aveva incredibilmente fermato il pallone in area con una mano. Ancora oggi, ogni volta che incontro Marco, glielo rinfaccio».
E la sua prima rete?
«Inutile ai fini del risultato, perché la Lazio aveva già segnato tre gol (Roma-Lazio 1-3, 2 novembre 1997), ma importante per me perché al terzo tentativo ero riuscito a fare un gol nel derby. Da quel momento in poi, ho segnato cinque reti nelle quattro successive sfide alla Lazio».
Lincubo della Lazio, ecco come veniva definito.
«Giocavo bene i derby forse perché non sentivo la pressione della piazza. Entravo in campo, guardavo la curva, sentivo i cori, vedevo che alcuni miei compagni impallidivano o tremavano invece io restavo sempre tranquillo. Non una partita come le altre, ma quasi».
Una cosa normale per uno nato a Milano...
«Sì, se nello spogliatoio non ci fossero stati via via compagni come Giannini e Totti che mi hanno fatto una testa così...».
Motivo?
«Ho giocato anche il derby di Milano, e la vera differenza con Roma sta nel fatto che qui il derby - anche, anzi soprattutto in squadra - comincia un mese prima mentre lì dura soltanto il giorno della partita».
Quanto era particolare lattesa del derby?
«Prima di ogni sfida alla Lazio venivano parecchi tifosi a Trigoria e ognuno di loro aveva una maglietta da regalarmi, una t-shirt che avrei dovuto indossare sotto la maglia da gioco perché erano convinti che avrei segnato. E io ogni volta chiedevo: ma come fate ad essere così sicuri? E loro: tu sei Supermarco. Hanno sbagliato raramente, a dire il vero».
Modesto...
«Quando arrivai a Roma, mi venne immediatamente detto che la partita più importante era il derby, che dovevo assolutamente segnare alla Lazio: non ho fatto altro che prendere alla lettera linvito della gente...».
Lavversario più indigesto?
«Due, Stankovic e Nedved. Dejan poi lho conosciuto meglio, è un bravissimo ragazzo ma in campo era odioso. Laltro non faceva altro che lamentarsi, buttarsi per terra...».
Tutta unaltra storia con Nesta.
«Quando eravamo insieme in Nazionale, i compagni si divertivano a sfotterlo. Sandro fai il bravo, sennò chiamiamo Delvecchio...».
E lui?
«Lui mi diceva sempre: ricordati che sono stato io a farti diventare famoso».
Delvecchio, e quellepisodio con Capello?
«Ero fuori da mesi per una fascite plantare, eppure Capello mi mise nella lista dei convocati per il derby. Anche se in settimana avevo fatto solo due mezzi allenamenti. Saputa la cosa, Totti mi fa: me sa che questo è matto...».
E poi?
«Il giorno della partita, durante la riunione tecnica, Capello dà la formazione e mi mette tra i titolari. Totti mi guarda e mi fa: sì, questo è proprio matto... Andai in campo praticamente da fermo e segnai un altro gol alla Lazio».
Rimpianti da derby?
«Non averne vinto uno con Mazzone in panchina: avrei voluto vedere la sua faccia dopo una vittoria sulla Lazio».
Il compagno più teso prima di un derby?
«Anche se lho vissuto poco, De Rossi. Non apriva bocca per giorni, stava per conto suo, era nervosissimo».
Si dice che Borini sia il nuovo Delvecchio. È daccordo?
«Mica tanto. Fisicamente siamo luno opposto dellaltro, ha un altro modo di correre rispetto al mio e in più lui gioca da punta mentre io dovevo fare il tornante. Forse ci accomunano perché lui in campo dà tutto se stesso come facevo io, ma tecnicamente siamo diversissimi».
Da allenatore, come farebbe giocare domani la Roma?
Niente Bojan?
«No, sta dimostrando di non saper reggere la pressione di una piazza come Roma».
E da stella della tv, il derby che ballo è?
«Un paso doble, cioè una sfida continua, la ricerca esasperata dellabbattimento dellavversario. Ho reso lidea?».