IL ROMANISTA (C. ZUCCHELLI) - Nella città in cui Totti non si allena da ventanni e De Rossi è già da un anno un giocatore del Manchester City, adesso sembra essere arrivato il turno di Lamela
Già perché mentre Luis Enrique dice di pensare soltanto al prossimo impegno, Lamela guarda più avanti. Il prossimo anno vuole giocare la Champions, per questo conta i punti che mancano per raggiungere il terzo posto e per questo si informa anche sul calendario delle dirette concorrenti. Segue lUdinese, segue anche il Napoli (due sera fa ha ammirato la vittoria in Champions con un occhio di riguardo per Lavezzi), dellInter parla poco, mentre della Lazio qualcosa in più dice. Anzi, chiede. A chi gli è accanto spesso fa: «Non capisco perché siamo sotto a loro in classifica, dobbiamo superarli. Se non fosse stato per il gol di Klose...». Già, il gol di Klose, che Lamela ha visto dalla panchina una settimana prima del suo esordio in serie A. Tra dieci giorni, al prossimo derby, sarà tutta unaltra storia. Così come è unaltra storia quella secondo cui Erik non si allenerebbe bene: Luis Enrique, che è uno che non regala niente a nessuno, in conferenza stampa è stato chiaro: «Si allena come un matto». Vero, basta chiedere a chi frequenta Trigoria tutti i giorni. I numeri comunque parlano chiaro: da quando ha risolto il problema alla caviglia, dal 23 ottobre, giorno di Roma-Palermo, Lamela non è più uscito. Ed è stato quasi sempre tra i migliori. Adesso il suo rendimento sembra essere in calo e questo non lo nega nessuno. Da uno come lui, che gli amici definiscono "un oro che gioca a calcio" ci si aspetta sempre il massimo. Però una flessione è fisiologica. Primo perché Lamela deve ancora compiere ventanni e questo basta e avanza pure. Persino Totti, che è oro argento e mirra insieme, alletà sua non era sempre continuo. Secondo perché gli avversari lo conoscono e quindi stanno iniziando a marcarlo sempre più stretto e lui ha bisogno di tempo per prendere le giuste contromisure. Terzo perché gioca in un ruolo diverso da quello a cui era abituato: trequartista puro nel River, attaccante nella Roma. Con tante lezioni di tattica da seguire. Per questo spesso si rivede le partite. Come tutti, quando vince lo fa con piacere, quando perde bisogna un po convincerlo. E allora ci pensa lamico Diego Giustozzi e alla fine il suo amico Erik cede: si mette sul divano, analizza le giocate sue e dei compagni, è il primo critico di se stesso. E dice: "Qui Osvaldo ha fatto bene, devo farlo anche io". Oppure: "Come tocca il pallone Totti...". Lo dice con umiltà e con voglia di imparare, le stesse sensazioni che ha provato quando ha ricevuto la prima convocazione dellArgentina per lamichevole contro la Svizzera. Ha chiamato gli amici e ha detto: "Mamma mia, giocherò con Messi". E non vede lora di farlo. Comprensibile. Così come è comprensibile che per lui molto della sua vita in Italia sia ancora una novità: quando incontra qualche avversario che stima particolarmente, vedi Pirlo, gli chiede la maglia. Quando esce a cena beve acqua, ogni tanto si concede la pasta, la carne sulla sua tavola non manca mai. Così come, nella sua vita, non manca mai la musica. La cumbia, ma anche lelettronica e il rock. E poi cè la play station, fedele amica di tante serate. Anche in questo, così come nelle cattiverie che si dicono sul suo conto e che lui smentirà sul campo, somiglia tanto a Totti e De Rossi. Vi pare poco?




