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IL TEMPO (T. CARMELLINI) - E meno male che il rinnovo di De Rossi doveva essere poco più di una formalità. Priorità assoluta (dopo la follia suicida della vecchia gestione) della nuova proprietà a stelle e strisce: giocatore che andava blindato «prima dell'inizio del campionato», poi «prima di Natale», quindi «entro la fine dellanno»... prima di scoprire che il giocatore avrebbe dovuto dare una «risposta inderogabile entro dieci giorni».
Già, perché comunque vada a finire, e la speranza collettiva è che De Rossi resti nella città e nella squadra che lo ha formato, il rischio di fare una figura di «m» è dietro langolo. Così, aspettando che arrivi la lieta novella, il povero romanista si arrovella il cervello per capire cosa stia realmente succedendo. Da una parte cè chi dice che la trattativa sia già conclusa, da tempo: lofferta cè, ed è identica alla richiesta fatta dal giocatore (i fatidici 6 milioni). Allora perché non arriva sta benedetta firma!? Altri invece sostengono che il giocatore sia abbastanza indispettito dal fatto che, arrivati a questo punto, con tutte le fughe di notizie (unilaterali) degli ultimi tempi, la sua scelta sia più una sorta di costrizione. Perché è evidente che se Daniele decidesse (cosa per altro lecita visto che si tratta del contratto più importante della sua vita) di non firmare, sarebbe additato come il traditore della patria, il mercenario che ha voluto il male della Roma. Ma se è (e sembra esserlo) un problema di soldi, la Roma non poteva spendere meno in estate e mettere quei soldi sul rinnovo di De Rossi? Se non lo è, allora qualcuno ce lo spieghi...