IL ROMANISTA (T. CAGNUCCI) - I grandi uomini sanno che a volte si va avanti dovendo fare un passo indietro. La carriera di Daniele De Rossi è così. Quello di lunedì sera non è stato un inedito, e non tanto perché da difensore centrale ci aveva giocato contro il suo amico Scarlato il 13 agosto del 2009 in unamichevole a Grosseto. Il dato è che De Rossi come giocatore di calcio nasce co
non è stato un inedito, e non tanto perché da difensore centrale ci aveva giocato contro il suo amico Scarlato il 13 agosto del 2009 in unamichevole a Grosseto. Il dato è che De Rossi come giocatore di calcio nasce come attaccante. AllOstia Mare quandera minuscolo gli davano il numero 9. Anche in un torneo di Viareggio con la Roma giocò col numero 9. Faceva lattaccante anche nelle giovanili della Roma, sognava di segnare, sognava il sogno più semplice. Fu però Mauro Bencivenga a fargli realizzare quello più grande: giocare con la Roma. Lallenatore che gli parlava della classe operaia lo consegnò pronto
allesordio Champions a Fabio Capello trasformandolo
da punta a centrocampista, più che altro per "trovargli posto a quel cavallone".
De Rossi indietreggiando è andato avanti. Una specie di passo del gambero, un happy feet da pinguino, come lesultanza di lunedì sera che pare sia stata ispirata a una canzone di Rocco Papaleo ballata al Teatro Nuovo Colosseo al termine dello spettacolo "Paspartù". Passepartout per qualsiasi ruolo: da ballerino a mediano, carezzando gli estremi: gli ultimi minuti contro il Cagliari in questa stagione li ha giocati da ala. Quella era necessità, ma la filosofia di saper fare tutto definisce pienamente lessere Daniele De Rossi. Cè anche unumiltà profonda in questo, una predisposizione al sacrifico, un andare e tornare che viene da dove viene: la sua famiglia, le origini. Il mare. Qua e là, dovunque. Avanti o indietro, oltre che avanti e indietro. Fare tutto e sempre. De Rossi è lunico della Roma sempre presente. Laltra sera ha raggiunto Damiano Tommasi
al decimo posto della classifica delle presenze di tutti i tempi con la Roma in serie A. Bello. Questo fa più effetto di un ruolo da difensore centrale che potrà essere il ruolo del futuro probabilmente quando non sarà più Capitan Futuro. Adesso sono giorni di contratto. Sono stati pure giorni di incazzature per De Rossi,
quando ha letto che la firma era cosa fatta: sè sentito dentro una strategia più grande che lo metteva spalle al muro. Ed è unaltra cosa che indietreggiare per andare avanti. Per adesso pensa soltanto a giocare a pallone, cioè alla Roma che è la stessa cosa. Calcio. E ci sta meglio di chiunque altro dentro questa storia. Anche in questa dei gamberi o dei giocatori "happy feet" che hanno fatto il suo stesso percorso. Raro, non unico. Unico è lui.
Tra i paradigmi cè Marcel Desailly, il francesone che al Milan da centrocampo finì in difesa perché così volle Fabio Capello prima di una trasferta a Udine (95/96) con Franco Baresi infortunato. Il francesone inizialmente polemizzò, poi capì che così avrebbe potuto allungare la carriera. Il paradigma e basta però non può non essere Fulvio Bernardini. Il mitico Fuffo dava scola allargentini anche perché da prima punta finì
col giocare da centromediano metodista, non proprio un difensore centrale ma un bel cammino allindietro. Cioè in avanti. A volte fanno così questi che vanno e vengono. Ruud Gullit per esempio, in Olanda nacque come libero prima di bucare reti con le treccine da attaccante, ma non prima di finire la carriera dove tutto ebbe inizio. Antologicamente grandi come Lothar Matthaeus hanno chiuso col calcio guardando in campo tutti i compagni a parte il portiere. Andrea Pirlo regista davanti alla difesa, da trequartista a volante, è stata la più grande invenzione di Carlo Ancelotti (la migliore degli ultimi 10 anni in Italia e in Europa). John Terry quando era ragazzino del West Ham (una fede per il papà) era un centrocampista: il Chelsea gli ha rubato fede e ruolo. Poi esempi più vicini: Ivan Helguera che qui era un centrocampistino e che a Madrid è diventato difensore Real. Zibì Boniek, alla Juventus gobbo e ingobbito col numero 11 appresso a un pallone
arancia sul solito lancio di Platini, a "4" romanista e centrocampista. Una citazione per Antonio Comi (da erede di Pulici nel Toro a quello di Collovati nella Roma) per finire con la fine. Col più grande. Agostino Di Bartolomei. Fu lidea più leggera di Liedholm spostarlo lì dietro: era luomo in più della Roma più bella, iniziava tutto là dietro e non finirà mai.
Ecco linedito vero: lunedì sera De Rossi (due parole come Di Bartolomei) ha giocato così proprio nel giorno in cui per la prima volta divenne capitano: era il 12 dicembre del 2004 a Brescia. Capitano come Agostino. Un
grande uomo che una volta ha deciso di fare un passo indietro.