GASPORT (A. CATAPANO) - Ha già tirato fuori il servizio buono, non dimentica le buone maniere. Partita di gala vuole posate d'argento, e quindi, a quattro giorni da Roma-Juventus, Totti ieri ha rispolverato il cucchiaio: «scavetto» col sinistro dal limite, palombella giallorossa, Lobont, sempre lui, scavalcato. Pure il piccolo Nico Lopez, da ieri autorizzato ad allenarsi con la maglia giallorossa, ammirato. A questo giro, il portiere romeno avrà capito con chi ha a che fare?
Quanto vale? A certe cose ci si adegua serenamente, ad altre non ci si abitua mai. Totti, per dire, si è rassegnato a non essere più il Paperone della Roma. Già oggi Daniele De Rossi guadagna più o meno quanto lui: tra impicci e imbrogli viaggiano entrambi sui 5 milioni netti a campionato. Ma De Rossi deve ancora fare l'ultimo scatto di anzianità, e che scatto: forte della possibilità dal 1° febbraio di liberarsi a parametro zero, per restare alla Roma chiede almeno un milione in più a stagione per i prossimi cinque anni. 6, è il numero magico che dovrebbe convincerlo a rinunciare alle petrosterline degli sceicchi del Manchester City. Esoso? Forse, ma la Roma ora si è convinta ad alzare l'offerta di quel tanto che basta, la prossima settimana Franco Baldini incontrerà Sergio Berti e forse arriverà il sospirato sì. Con annesso sorpasso su Totti nella money list. Nessuna invidia per i soldi, anzi come si dice da queste parti: che Dio glieli accresca. Piuttosto, una riflessione: la Roma si ripagherà l'investimento come è avvenuto nel periodo d'oro del capitano? Perché De Rossi non sarà mai la stessa gallina dalle uova d'oro che Totti è per la Roma. Sponsorizzazioni, tournée, amichevoli: con lui valgono tot, senza molto meno.
Al centro, ma non troppo Anche oggi che Totti è stato «normalizzato»: sempre al centro del progetto, ma non più al centro degli altri, sempre il più forte della squadra, ma solo con la condizione fisica di un marine. Ai cambiamenti non ci si abitua mai. Soprattutto se per vent'anni hai avuto altre attenzioni, se sei stato al centro della scena. Ovvio, quindi, che in questi mesi Totti si sia sentito maltrattato: da certe prese di posizione della dirigenza, da certi trattamenti di Luis Enrique. Escluso, sostituito, titolare ma lontano dalla porta, infatti ha smesso di segnare. Poi infortunato e di nuovo escluso. La panchina di Firenze non l'ha capita. Stava bene per aiutare la squadra, ma non quando è andata in svantaggio e in inferiorità. Un nonsense.
Una domanda. Cosa rappresenta Totti nella Roma italoispanoamericana? Lui non lo ha capito. A volte guardandosi attorno si sente un marziano (o sono gli altri i «diversi»?). Gli ultimi fatti lo hanno lasciato perplesso: non le paturnie di Osvaldo (che ieri ha assicurato: «Gioco alla Roma, non potrei essere più felice»), piuttosto la severità e la trasparenza con cui la società ha gestito l'accaduto. E anche le rigidità di Luis Enrique a volte gli sembrano eccessive, se non autolesioniste. Per esempio, a chi giova tenere Totti a 40 metri dalla porta? Sarà così anche con la Juve, ammesso che giochi. Magari ci arriva col cucchiaio.