IL MESSAGGERO (R. RENGA) - Il conte Marini Dettina, che si è spento ieri a 94 anni, era un uomo alto, elegante e con i baffi sottili. Amava la Roma e la voleva affascinante, quanto un gioiello di famiglia. Spese tutto ciò che poteva. Subito. Al primo colpo. Come davanti a un tavolo di roulette e come si conviene a un nobile. Andò male. Il banco
La Roma sopravvisse, non per quella collinetta di carta, ma solo perché era la Roma e una squadra che porta quel nome non può morire così. E sopravvisse anche, arrossendo, a quel gesto estremo: la richiesta della carità. Il conte ci provò, in realtà, alla maniera di tanti altri presidenti dellepoca. Ora, anche se può sembrare strano, cè addirittura maggiore programmazione. E, se non altro, i dirigenti possono contare sul danaro delle televisioni. Non cerano sponsor e i soldi venivano dalla tasche dei proprietari o dal botteghino.[...]
Prese Angelo Benedicto Sormani dal Mantova: aveva segnato sedici gol alla sua prima stagione. Un brasiliano e proveniente dal Santos, la squadra di Pelé. La gente impazzì, ma il bravo, educato, gentile Sormani, venne travolto dalla crisi della società e ceduto alla Sampdoria. Si vide allOlimpico anche Schnellinger, chiamato il cane dai suoi tifosi romani. Sciogli il cane, urlavano dalle curve a Lorenzo, quando la Roma doveva rimontare o cercare una vittoria. Il tedesco che ci avrebbe fatto gol in Messico nel 1970, costringendoci ai supplementari del 4-3, era un magnifico terzino dattacco, prima di trasformarsi in difensore centrale. Un successo, il conte, lottenne. Coppa Italia, strappata al Torino, in doppia finale. Zero a zero allOlimpico. Il Torino propose di giocare il ritorno di nuovo a Roma: per motivi dincasso (lOlimpico a quei tempi faceva sempre lesaurito) e perché Lorenzo se la cavava meglio, per via della sua difesa attenta, in campo esterno. Lorenzo rifiutò e fu Nicolé a segnare il gol della Coppa, che venne alzata da Losi, lunico core de Roma.




