IL ROMANISTA (M. IZZI) - La consegna è quella di parlare dei tanti intrecci tra Roma e Fiorentina, obbedisco e penso di farlo partendo con il nome obbligato di Giancarlo De Sisti, ma per farlo, non posso rinunciare a descrivere il tecnico che avallò la cessione di Picchio. Si chiamava, naturalmente, Oronzo Pugliese,
Si chiamava, naturalmente, Oronzo Pugliese, Don Oronzo Pugliese. Mi farebbe piacere che Luis Enrique vedesse questo articolo, e ancora più piacere mi farebbe vedere la sua espressione mentre legge di questo suo predecessore. Pugliese era il tipo che prima di mandare i suoi in campo diceva: «Picciotti entrate in campo e fate il vostro dovere. Io vi ho indicato come battere gli avversari. Ve lho indicato alla buona, senza lavagna. Se non mi avete capito siete dei fessi. E sareste dei fessi anche se non vimpegnate perché siamo tutti sulla stessa barca e ci conviene vincere». Oronzo Pugliese, lallenatore che amava: «mangiare il cocomero anche dinverno», confessava che dovendo scegliere tra il resistere al fumo, al bere e alle donne, con ammirevole onestà dichiarava: «A niente rinuncerei veramente. Se potessi avere la forza a niente. Specie quando si tratta di soldi».
Insomma, fu proprio lui a dover affrontare la spinosa questione della cessione di De Sisti. Il ragazzo, potendo scegliere non ne avrebbe voluto sapere. Il suo vecchio allenatore, il lunatico Lorenzo, aveva dichiarato che in caso di cessione del centrocampista, si sarebbe dimesso. Evangelisti, però, tirava dritto per la sua strada e del resto Giancarlo, partito per il servizio militare, era tenuto alloscuro di tutto. Pugliese, informato della questione e dellofferta della Fiorentina, fu molto più malleabile: «Onorevole disse il tecnico Dio solo sa se non mi piacerebbe disporre di un campione come De Sisti. Ma se per salvare il bilancio della Società ci vorrà la cessione del picciotto, lo ceda pure. In un modo o nellaltro ci arrangeremo». E ad arrangiarsi la Roma si è anche arrangiata, anzi la cessione di De Sisti, certificò proprio la nascita della Roma arrangiata, della Roma Rometta. Nessuno trovò il coraggio di avvertire Picchio direttamente e la faccenda fu sbrigata via telefono mentre un addetto del Club si precipitò a casa del picciotto, per recuperare la divisa sociale. Penso a RomaFiorentina e mi ritornano in mente Pesaola e Bernardini, due romanisti, i soli che alla città dellArno hanno regalato lo scudetto.
I due si conobbero proprio a Roma, nella stagione 1949/50, quando Fuffo era tornato ad allenare la Lupa e aveva trovato, nella rosa a sua disposizione, il bizzoso argentino. Il Petisso a quel tempo sfoggiava dei baffoni da caballero della Pampa. Conduceva una vita da bohemienne, dormendo fino a tardi, cosa che non lo distoglieva, però, dalla sua vera passione il poker. Bernardini, già preoccupato dallandamento non proprio brillante della squadra, era anche alle prese con le sue lune. Pesaola, raccontava Bernardini, odiava sommamente due cose: viaggiare a piedi o in autobus (e per questo si spostava sempre in taxi) e gli allenamenti. In compenso, come detto, gli piaceva molto dormire fino a tardi, ma disgraziatamente la cosa non era esattamente una manna per la sua professione di calciatore professionista. Fu così, che un bel giorno, non vedendolo arrivare allallenamento, Bernardini sincamminò per Via Giulia, dove Pesaola aveva preso in affitto una stanza in un antico palazzo gentilizio. Sarebbe stato estremamente interessante vedere con quali parole Fuffo abbia approcciato il discorso, di più, sarebbe stato certamente esilarante. Fatto sta che oltre trentanni dopo, a chi gli chiedeva un ricordo di Pesaola, allora appena diventato allenatore del Napoli, Bernardini, sorridendo. rispose che aveva avuto: «un passato quasi glorioso da giocatore della Roma».
Una volta a Firenze, come allenatore, il Petisso ha conservato la sua originalità. Franco Superchi, altro ex romanista doc, lo ha descritto così: «Era bravissimo, è lui che mi ha lanciato titolare. Un vero personaggio, che fumava dalle 50 alle 100 sigarette al giorno e che prima delle partite, nellanno dello scudetto, ci faceva sempre sentire una canzone di Peppino Gagliardi, che era suo amico. La cosa iniziò una volta, durante una trasferta a Torino. Mandò il massaggiatore a comprare il mangianastri iniziammo a cantare tutti quanti nello spogliatoio. Andò bene, perciò abbiamo continuato». Sarà anche poco manageriale, ma leccentricità guascona di uno come Peaola la preferisco allaria cattedratica di uno come Sven Goran Eriksson. Il Rettore di Torsby si presentò da avversario allo Stadio Flaminio l11 giugno 1989. Trentaduesima giornata di campionato, Roma e Fiorentina avversari per la conquista di un posto UEFA.
A 5 dal termine il risultato di 1-1 mette al sicuro gli ospiti e Sven, per fare la parte del bravo boy scout, si prepara a dare il contentino ai tifosi giallorossi spedendo in campo Roberto Pruzzo, passato proprio in quella stagione in viola. A rovinare le uova nel paniere ad Eriksson è però Voller con un tuffo di testa e una rete che fa esplodere i tifosi romanisti. Sven, a questo punto, ordinò a Roberto Pruzzo di rimettersi seduto, il buonismo era definitivamente tramontato. Purtroppo, il Bomber, sarebbe tornato ad alzarsi dalla panca per lo spareggio UEFA, ma questa è unaltra storia e francamente non ci va di raccontarla. Chiudiamo allora con il nome di Batistuta, Maradona lo raccontava così: «Un animale, un animale che come dico sempre grazie a Dio è argentino» e grazie a Dio, a un certo punto, ha lasciato la Fiorentina per la Roma