Calci e polemiche, Totti si rialza

03/09/2011 alle 10:46.

IL ROMANISTA (M. IZZI) - Sapete non è facile, sapete come può essere difficile», lo scriveva un certo John Lennon, in un anno, il 1969, in cui era nell’occhio del ciclone. Ora se nell’occhio del ciclone c’è stato John Lennon, leader del più grande gruppo musicale di tutti i tempi, non ci stupisce che ci sia anche Francesco Totti, nonostante (o forse proprio per questo?) negli spot televisivi lo si porti in processione come la statua di un santo patrono. Il fatto è che Totti è un simbolo, tra l’altro lo è diventato prestissimo, e come tale, come una calamita attira gli strali di tutti coloro (tanti, tantissimi) che colpendo lui sanno di fare male a ciò che rappresenta, vale a dire una squadra di calcio, o meglio ancora una città. Che per Roma e la Roma, poi, sono la stessa cosa.

E’ impossibile credere che possa esistere una piazza capace come Roma di regalare più amore al proprio capitano, ma anche immaginarsene una più esigente. Questo ha creato diverse scintille nel passato. Il 15 marzo del 2000, ad esempio, Francesco dichiara: «Diverse volte, e troppo spesso, anche quest’anno, mi sono immaginato lontano da Roma». Il vecchio amico Maldini arriverà a dire che secondo lui «Francesco ha già deciso dove andrà». Ma il caro Maldini non ha mai capito nulla, perché Francesco è sempre rimasto, persino quando i comportamenti di alcuni singoli (mai di un’intera tifoseria o di una sua porzione considerevole) avrebbero potuto indurlo a vacillare. Ricordate il 14 gennaio 2005? Al termine di una gara di Coppa Italia che aveva visto una larga vittoria contro il Siena, , si recò sotto il settore romanista per invitare a spegnere i fumogeni. A questo punto partirono alcune bottigliette. Francesco ne fu profondamente scosso: «Un gesto grave. Un episodio bruttissimo, al quale penserò tanto, e che mi farà riflettere». La riflessione è sfociata in un “credo”, , la Roma e i suoi tifosi sono una cosa sola, una famiglia. In una famiglia a volte si discute, ma si continua a volersi bene. Retorica? Niente da fare, fatti passati definitivamente alla storia dopo il 19 febbraio 2006. Dopo che Vanigli sul prato dell’Olimpico aveva spezzato il sogno mondiale del capitano. Spezzato… perché a parte il professor Mariani nessuno avrebbe scommesso un euro sulla possibilità di di prendere parte all’ultimo mondiale della sua carriera. Il mondiale che avrebbe dovuto consegnarlo alla storia del calcio. Ebbene , invece di leccarsi le ferite, ritirarsi in un angolo a piangere, si presentò ad assistere al derby, per fare coraggio ai suoi compagni. Finì in un trionfo delirante, con Francesco ad alzare una bandiera più grande del suo dolore sotto la … con capace di portare sulle labbra la gioia della sua gente, dimenticando la preoccupazione di campione ferito, di atleta derubato del sogno. Per questo i romanisti hanno gioito doppiamente per la vittoria dell’Italia, per il piacere di veder trionfare la nostra Nazionale e per l’orgoglio di vederlo, con una gamba sola, sul tetto del mondo. Del resto è riuscito persino a trasformare i suoi punti di debolezza in assi vincenti. 

Da ragazzo, non è un mistero, era di una timidezza assoluta. Quello che oggi è uno dei più formidabili testimonial televisivi aveva il terrore delle telecamere. Le fuggiva come la peste, facendo eccezione solo per gli spot richiestigli dall’Unicef. Alcuni approfittarono di questa timidezza per prenderlo in giro, fino all’idea, straordinaria, dei libri di barzellette (anch’essi nati per finanziare iniziative di solidarietà). La gente inizia a sfogliarne le pagine e legge: «Il professore domanda a : “Mi saprebbe recitare la poesia 8 marzo?”. E lui: “Beh, 8 m’arzo, 8 e un quarto faccio colazione, 8 e mezzo sto a allenamme a Trigoria”». Cavolo, ma allora è simpatico! è autoironico! E vai con il fenomeno mediatico. Bello, ma per tornare a John Lennon, non pensiate, però, sia stato facile. Proseguiamo anche nel presunto problema con Luis Enrique. Dico presunto perché a mio personalissimo avviso il problema di non è un allenatore, ma semplicemente, come per tutti i campioni, la difficoltà di abbandonare il campo prima della fine del match. Ma non accade oggi, è stato sempre così. Ricordate ad esempio l’amichevole contro il Galatasaray del 17 agosto 2001? No? Beh non vi servo rancore. Si giocava a Berlino e Fabio Capello, sostituì , che non gradì affatto la mossa, evidenziandolo con gesti assai eloquenti. Il che non impedì a e Capello di continuare a lavorare fianco a fianco, fino a quando Don Fabio non decise che Torino era una à assai solare. Ci fu, è vero, un allenatore con cui non riuscì a collaborare, ma non certo per sua colpa. Nel 96/97, Carlos Bianchi si era messo in testa che fosse un romano indolente e come tale andava epurato. Per ferirlo arrivò persino a levargli la maglia numero 20 datagli da Mazzone per “appioppargli” il 17. Non è necessario spiegare come andarono a finire le cose, né è necessario dire che chi intende colpire il simbolo , continuerà a scrivere le cose più assurde, come quando, nel 2002, arrivarono a dire che durante i mondiali nippocoreani Ilary Blasi lo raggiungeva scalando mura e cancelli nella sua camera d’albergo. risponderà, come allora, “un po’ incazzeto”, come direbbe Lino Banfi, e un po’ ironico: «Ilary che scala i muri? Ma chi è l’Uomo Ragno?».