GASPORT (M. CECCHINI) - «Potrei giocare a scacchi con Dio e dargli un pedone di vantaggio», tuonava un secolo e mezzo fa l'austriaco Wilhelm Steinitz dopo essere diventato il primo campione del mondo della disciplina. Nel suo piccolo, Luis Enrique non è riuscito in un'impresa assa
Faccia a faccia L'eco del tonfo inatteso si è sentito anche in Spagna, tant'è che l'aggettivo «presuntuoso» è stato già accostato a Luis Enrique. Effetti collaterali? Parecchi. L'allenatore in conferenza aveva peggiorato le cose, rispondendo più volte «non vi devo spiegazioni» alle richieste di chiarimenti non solo su Totti (la posizione di Verre, il non impiego di Heinze, la mancata sostituzione di Bojan) e ieri, nel breve colloquio con la squadra («perdere può capitare a tutti, dobbiamo andare avanti così, ci sono stati dei miglioramenti») è apparso teso. Una cosa è sicura: nel confronto che ha avuto durante la notte con i dirigenti Luis Enrique si è reso conto dell'errore commesso, ammettendo che non si aspettava il crollo psicologico della squadra.
Tocca a Sabatini Chiariamo subito: lo spagnolo non rischia il posto. La stima della società resta intatta, anche se in futuro qualche cosa cambierà. Al termine del mercato, infatti, toccherà a Walter Sabatini affiancare l'allenatore (che non ama il modo in cui Totti si allena) e mettere in evidenza le criticità a cui può andare incontro, fermo restando che le scelte finali saranno sempre di Luis Enrique. L'idea della dirigenza (adesso felice per il rinvio del campionato) d'altronde è netta: forse gli abbiamo concesso troppa carta bianca, ma si sapeva che un prezzo andava pagato. Anche se nessuno si aspettava che fosse così elevato, visto che una rosa di così alto livello senza l'impegno europeo corre il rischio di essere fonte di ulteriori nervosismi nello spogliatoio per scarsezza di turnover.
Il grande gelo Di sicuro adesso è gelo tra lo spagnolo e Totti, che ieri non ha avuto colloqui diretti né con l'allenatore, né con i dirigenti e neppure con DiBenedetto, presente a Trigoria. Quest'ultimo, però, ha parlato con Luis Enrique, chiedendogli commenti e spiegazioni sull'infelice partita. L'impressione, però, è che se il manager Usa non fosse un esperto uomo d'affari sensibile al marketing e al merchandising (e Totti è il re del marchio giallorosso), per questa nuova proprietà il capitano rappresenti più un problema (la gestione e l'alto ingaggio) che una risorsa. Non a caso ieri Angelo Di Livio ha detto con irruenza a Radio Manà Manà: «Questa società non vuole più Totti». Eccessivo? Probabile, ma ormai da giorni si sussurra che una possibile partenza del capitano verso l'estero non dispiacerebbe a Trigoria, anche se Totti forte di un contratto da calciatore fino al 2014 e da dirigente (con retribuzione di alto livello) fino al 2019 per adesso non ha alcuna intenzione di perdere l'eventuale braccio di ferro. È chiaro, però, come una discrasia sulla sua gestione sia stata lampante. Baldini a giugno, nella riunione allo studio Tonucci, sottolineò ai dirigenti come il capitano dovesse essere gestito come tutti, anche se col rispetto dovuto a uno che ha dato tanto e ancora tanto potrà dare. Sabatini, invece, ha preferito presto rifugiarsi nel classico: «Totti al centro del progetto», cosa di cui adesso l'attaccante chiede conto alla dirigenza. Qual è la verità? Probabilmente la prima, ma al netto degli errori di gestione in stile Slovan. Altrimenti anche il futuro di Luis Enrique diventerà incerto.