Il "nazionale" che ci mancava dai tempi di Miki Konsel

29/07/2011 alle 11:23.

IL ROMANISTA (F. BOVAIO) - Con Stekelenburg la Roma torna ad avere un nazionale tra i pali, cosa che non le accadeva dai tempi dell’austriaco Michael Konsel, che dopo un’ottima stagione e mezza con Zeman si fece male al ginocchio lasciando nell’immediato i pali a



E già questo basterebbe a spiegare la grandezza del nuovo e l’importanza del colpo messo a segno da
. Poi poco importa che i soldi siano arrivati dalla cessione di Menez. In questo mercato le squadre italiane si stanno muovendo tutte così: uno parte e uno arriva con la speranza di migliorarsi. Dunque che male c’è se lo fa anche la Roma? Ma torniamo a Stekelenburg, dalle capacità eccezionali in grado di fare davvero la differenza e regalare alla squadra quei dieci-dodici punti in più in campionato che fanno sempre bene. Un po’ come fece Julio Sergio due tornei fa, quando con le sue parate miracolose spinse la Roma al secondo posto.



Peccato che il suo sia stato solo il canto di una stagione, perché l’anno scorso è tornato ad evidenziare i suoi limiti finendo con il non essere confermato al pari del rivale Doni, ormai accasatosi al Liverpool (un altro grande colpo di mercato di ). Dopo aver giocato bene nei primi campionati dell’era Spalletti (quello dell’esordio 2005-06 e poi quelli seguenti del 2006-07 e 2007-08) calò vistosamente, complice un infortunio al ginocchio che contribuì ad accelerarne la discesa, finendo con il perdere sia il posto in squadra che quello in nazionale, dove a dire il vero si affacciò per un semplice caffè. A sostituirlo tra i pali fu il connazionale Artur, non proprio un fulmine di guerra, anche se nella stagione appena conclusa ha ben figurato nello Sporting Braga finalista in Europa League al punto di conquistarsi il passaggio al ben più celebre Benfica. Insieme a loro , ex titolare della Romania, ottimo per fare il secondo a Stekelenburg, con il quale ha già giocato nell’Ajax, dove anzi gli passò il testimone della porta finendo con il fargli il dodicesimo anche là.



Quanto a Curci, che c’era nel primo campionato di Doni (2005-06) e che sul finire di quello precedente sembrava dovesse essere il nuovo Tancredi, poi si è perso e per lui sarebbe meglio ripartire di nuovo per cercare gloria altrove. Citato en passant il greco Eleftheropulos (mai visto) andiamo a ritroso nel tempo e finiamo al quinquennio di Capello, che amava i portieri alti e fisicamente forti perché per lui, al pari dei centravanti, sono loro che devono svettare su tutti e comandare nella propria area di rigore. La "fissa" capelliana portò la società ad acquistare prima Antonioli, che il tecnico aveva già avuto con se nel Milan e che fu titolare nel 1999- 00 e nel 2000-01 con tanto di scudetto all’attivo, anche se in molti dissero che la Roma lo aveva vinto senza denigrandolo decisamente troppo.



Alcune insicurezze, però, le manifestò e anche per questo nell?estate del 2001 la società si cautelò andando a spendere una fortuna per Pelizzoli, giovane promessa sbocciata nell’Atalanta di cui tutti dicevano un gran bene. Nella rosa della stagione 2001-02 il ragazzo prese il posto di Lupatelli (bravo in otto gare del campionato dello scudetto) e pian piano convinse Capello che sarebbe stato meglio schierare lui titolare al posto di Antonioli. Così, con il bergamasco in porta, la Roma vinse la Supercoppa contro la e iniziò il campionato 2001-02, nelle prime partite del quale, però, il ragazzo non andò bene, tanto che dopo una manciata di giornate la porta tornò ad Antonioli. Da quel momento iniziò un’alternanza tra i due che fece male ad entrambi e anche a chi arrivò con loro, come ad esempio il modesto argentino Cejas e il giovane Zotti, grande promessa della Primavera poi mai sbocciata. Insomma, tornando a quello che scrivevamo all’inizio il dopo Konsel non è stato certamente di gran livello tra i pali della Roma, dove si sono alternati portieri discreti, mezze figure, numeri uno di ripiego e altri davvero scadenti anche perché in molti, Capello compreso, hanno pensato che il conta poco in una squadra che vuole puntare al successo.




Un errore di valutazione facilmente dimostrabile con le parole del mitico , che a chi gli chiedeva cosa servisse per costruire una squadra vincente rispondeva sempre «un che para e un centravanti che segna». Ovvio e lapalissiano come il calcio, che in genere è una scienza più semplice ed esatta di come lo dipingono.