IL MESSAGGERO (S. CAPPELLINI) - Dopo De Rossi, è toccato a Totti. Sospettiamo non sarà lultimo giocatore di primo piano a essere investito dai miasmi del ventilatore che si è messo in moto con la pubblicazione a puntate delle intercettazioni sul calcioscommesse.
È sufficiente essere citati in qualche modo. Pure Totti è finito sui giornali per una telefonata ambigua. Ma al capitano della Roma, se possibile, è andata anche peggio che al compagno di squadra. Nel caso di De Rossi cera una telefonata, non contenuta nellordinanza di arresto e che dunque mai avrebbe dovuto filtrare allesterno, in cui il portiere Marco Paoloni faceva il nome del centrocampista della Roma come «gancio» per orientare il risultato di Genoa-Roma.
Nel caso di Totti siamo oltre: lindagato Erodiani dice allaltro indagato Pirani che il giocatore del Lecce Corvia (non indagato) ha detto che «il capitano della giallorossa» ha detto che Fiorentina-Roma sarebbe finita con molti gol. Una citazione al cubo, dove Totti non è nemmeno nominato esplicitamente, una catena di SantAntonio del sospetto, un giro di chiacchiere in libertà che gli stessi inquirenti rubricano alla voce «millanterie» e che i quotidiani si sono affrettati a riportare prendendo le distanze dal contenuto, ma con una consistente dose di ipocrisia.
Perché quando il nome di una persona finisce sui titoli di giornali e tg associato a uninchiesta dove il marcio cè (è evidente a tutti, specie agli appassionati di calcio, che le partite truccate non se le sono inventate i pm e tantomeno i quotidiani), a poco serve che poi gli articoli contengano qualche cautela o si rifugino nelluso del modo condizionale. Il danno ormai è fatto. Danno alla persona, ma soprattutto allo Stato di diritto, allinsieme di regole e tutele che dovrebbero garantire una comunità civile. Oggi la vera priorità dei magistrati che conducono linchiesta è tutelare la serietà del loro lavoro, innanzitutto impedendo che si trasformi sui giornali in una soap quotidiana zeppa di colpi di scena artificiosi e fuorvianti, secondo un copione troppo spesso andato in scena negli ultimi anni.
Ciò che più colpisce di questa vicenda è infatti lo scarto tra levidenza del problema (il calcio taroccato) e la fuffa delle cosiddette prove uscite da verbali e interrogatori, in particolare quelle che avrebbero dovuto estendere lo scandalo alla serie A. Ma le inchieste non si «allargano» con le voci e le dicerie, bensì con solidi indizi e partendo da capi dimputazione ben individuati. Che devono essere supportati da prove prima del processo. Invece qui continuiamo a leggere di combine non riuscite, di partite finite diversamente rispetto ai piani della presunta cricca, di match definiti «truccati» ma sui quali dicono le agenzie ufficiali non si è registrato alcun flusso anomalo di scommesse. Al punto che molti lettori si saranno convinti di unalternativa: o gli indagati sono le prime vittime delle loro stesse millanterie o si tratta, almeno per quel che riguarda le partite della serie A, della più pasticciona e inconcludente delle bande di scommettitori.
Il vero rischio è che questo mischione di notizie o presunte tali allontani dalla verità e dalla possibilità di celebrare un processo che faccia davvero pulizia nel calcio. Perché a dispetto di quanto sostiene una nutrita e trasversale scuola di pensiero, la pubblicazione a oltranza di carte, verbali e appendici varie non aiuta a fare giustizia. Al contrario, contribuisce a sollevare polveroni dove si confondono indagati e non indagati, colpevoli e innocenti, testimoni e complici. Polveroni dietro i quali è molto più facile ripararsi per chi ha davvero qualcosa da nascondere.