GASPORT (A. CATAPANO) - Palato fine, richieste esose, è sempre stato così, anche quando cera la Rometta. La città giallorossa si sente caput mundi anche nel calcio, non si sa bene a quale titolo vista la povertà della bacheca. Anzi, forse proprio per questo: Roma vuole fortissimamente vincere, o almeno provarci. Lultimo scudetto è arrivato dieci anni fa, lunica coppa europea risale al 1961, praticamente nella preistoria. La città chiede di essere protagonista, in Italia e in Europa.
Non si accontenta più di Coppe o Supercoppe italiane. Però Roma sa anche ragionare, capire, apprezzare gli uomini e i progetti che incontrano le sue aspirazioni, in cui può ritrovare i propri valori. E, in questo caso, è disposta a farsi sedurre.
Lentamente È quello che sta capitando col progetto di Thomas DiBenedetto: Roma lo ha abbracciato subito con entusiasmo, affascinata dal sogno americano; poi si è posta con scetticismo, ansiosa di notizie; ora mostra di aver intuito le innovazioni del progetto, la sua possibile portata rivoluzionaria, lidea di cambiare il calcio italiano e, perché no, di creare una filiale italiana del Barcellona. Anche se questo percorso richiederà qualche anno e non sarà possibile vincere subito.
Patti chiari... In questo solco è arrivata la notizia di Luis Enrique. Grande calciatore ma tecnico sconosciuto a queste latitudini. Dopo essere stata solleticata dallidea di andare a prendere in aeroporto Guardiola, Villas Boas, Ancelotti o Wenger (ma pure di ritrovarsi con Pioli), il contraccolpo provocato da Luis Enrique poteva essere forte, traumatico. E invece ieri, letta la notizia, i tifosi, in maggioranza, hanno apprezzato: giovane, brillante, raccomandato da Guardiola, che di lui dice addirittura «è un fenomeno» . E poi il suo Barça gioca come quello dei grandi, il 4-3-3 è il suo credo e si sa che per questo modulo i romanisti hanno un debole dai tempi di Zeman.
Soprattutto, i romanisti ieri sposando Luis Enrique hanno votato per il cambiamento, la svolta epocale. Sono disposti ad assumersi i rischi, ma pure a vivere il fascino di una sfida nuova, mai vista prima da queste parti. È unapertura di credito, non una fiducia illimitata. Roma è accogliente, ma non fessa. Perciò, inutile raccontarle che Luis Enrique farà da apripista a Guardiola. Non è così, non sarebbe giusto, e forse sarebbe pure meno affascinante.