CORSPORT (A. FANI') - Enrico Vanzina è un regista, sceneggiatore e produttore legato a doppio filo allepopea di «Un americano a Roma». Suo padre, Steno, fu regista del capolavoro di Sordi.
Vanzina, stavolta a Roma un americano arriva davvero.
«Sì, stavolta arriva. Però abbiamo assistito a una trattativa lunga e per certi versi misteriosa. Devo ammettere che lentusiasmo del primo giorno dentro di me è un po scemato».
Come mai?
«Perché queste lungaggini mi hanno fatto capire che è arrivato un americano ma non lamericano che ci aspettiamo noi, non quello del nostro immaginario collettivo. Non è arrivato un Abramovich, ecco, per intenderci. Piuttosto un uomo daffari che mi pare guardi alle centomilalire...».
Gli italiani e gli americani, anzi i romani e gli americani. Più ammirazione o più complesso dinferiorità?
«No, no, direi ammirazione, da sempre. Grande ammirazione. Gli americani per noi sono quelli della Seconda Guerra Mondiale, della cavalleria e degli arrivano i nostri. Sono il simbolo della libertà, per noi italiani. E poi DiBenedetto mi è simpatico».
Lo conosce bene?
« Posso dire che vado spesso a Boston per alcune mie passioni, tra le quali i Red Sox, di cui ho seguito anche alcune finali di World Series. La cordata DiBenedetto è fatta di uomini di sport, gente che sa quello che fa e quello che vuole. Mi auguro vogliano il bene della Roma, a questo punto».
Le difficoltà della trattativa verranno rimpiazzate da grandi risultati sportivi? Lei cosa sente?
« Tanti soldi non significano direttamente tante vittorie. Magari sarebbe bello anche un progetto di soli giovani, per ricominciare tutto da capo. Sarebbe una cosa molto americana».
DiBenedetto ha trovato lAmerica a Roma?
«Questo non lo so. Certamente trova un grande popolo e un grande pubblico. Se si comporterà bene, come i romani si aspettano, avrà trovato il paradiso».