"Conosciamo tutti quanti DiBenedetto. È uno serio"

14/04/2011 alle 10:46.

IL ROMANISTA (D. GIANNINI) - Il verde dei Celtics? Il rosso dei Red Sox? No, il primo colore che balza agli occhi arrivando a Boston è il blu scuro dell’acqua. Che arriva fino alla pista di atterraggio. Il blu dell’oceano, che accompagna quasi tutto il viaggio da Roma.

Sembra non finire mai, come la luce del sole che non va mai giù. E’ così ogni volta che si va verso gli Stati Uniti, ma stavolta ha un significato un po’ diverso, perché ora questo inseguimento a quel disco infuocato (che per tutta la giornata di mercoledì sarà nascosto dalle nuvole e dalla pioggia) è come una corsa verso un futuro migliore della Roma, un futuro si spera radioso. Mentre si vola sull’Atlantico si prova a far passare il tempo con un po’ di tv.

Si accende e c’è la sintesi della giornata di Premier. Subito ecco il faccione sorridente di Carlo che con il su Chelsea batte il Wigan sotto un bel sole (un giorno ci spiegheranno come mai in Inghilterra appena si gioca a pallone smette di piovere). Un segno del destino in vista di un suo possibile arrivo? Forse. Forse no. Forse tra un po’... Niente calcio, meglio provare con un film: Il discorso del Re. Colin Firth... E la mente va subito a ripescare "Febbre a 90", il film che lo ha reso famoso in Italia. La passione smodata per l’ e quella frase in cui tanti tifosi si riconoscono che comincia così: «Il calcio ha significato troppo per me e continua a significare troppe cose...».

Eppure non se ne può fare a meno, come della Roma. Un amore senza fine. Sempre. Tanto più ora che sta per cambiare la sua storia, E sta per cambiare da qui, da un altro mondo, tanto diverso dal nostro. In cui il “soccer” è roba che piace, soprattutto al liceo, all’Università, ma non trascina le folle non fa battere i cuori. Come magari fa invece il Baseball, qui quello dei Red Sox di cui Thomas DiBenedetto e uno dei soci. In giro è pieno di tifosi con felpe giacchetti e cappelli con il simbolo della squadra. Sempre così? Non sempre, è che è appena finita la prima delle due partite contro i Tampa Bay Rays. I Red Sox, che qui sono un simbolo della à, ne hanno scritto la storia fin di tempi di Babe Ruth, hanno perso ed è per questo che la gente ha la faccia un po’ abbattuta mentre ritorna a casa. Si è fatto tardi, son quasi le undici di sera, per non rischiare di rimanere a stomaco vuoto ci si butta dentro al primo ristorante aperto che si incontra. “Cheesecake Factory” dice l’insegna mentre comincia a cadere qualche goccia di pioggia. Entri ed è esattamente come te lo aspetti. Un bel bancone del bar e tanti ragazzi intorno ai 20 anni o poco più. L’età media di questa parte della à, perché qui a pochi passi ci sono Harvard e il MIT (Massachussets Institute of Technology).

I camerieri sfrecciano portandosi dietro degli enormi hamburger. Sempre sorridenti, perché si devono guadagnare la mancia. «Ciao, sono Brad, cosa posso servirti?». Due minuti dopo buttando giù qualche sorso di “Sam Adams” (una delle birre locali) ecco la domanda più importante per Brad: «Se ti dico Thomas DiBenedetto che pensi?». «DiBenedetto? Certo che lo conosco, è uno dei Red Sox, io prima lavoravo al Fenway Park (lo stadio). Da quello che so, è una persona seria». Brad però non sa che DiBenedetto sta per comprarsi la Roma e che a giorni ci saranno le firme decisive proprio qui a Boston. «Davvero? Interessante, è una cosa buona per la Roma. Allora incrociamo le dita». Lo stiamo già facendo, lo stanno facendo milioni di romanisti già da mesi perché la Roma per i romanisti significa tanto, tutto, o quasi. Ma questo, a Brad, vaglielo a spiegare...