USA in Premier, luci e ombre

10/02/2011 alle 11:16.

IL ROMANISTA (F. BOVAIO) - Gli americani hanno scoperto il calcio europeo nella metà degli anni 2000. E quale miglior campionato di quello inglese poteva fare loro da apripista in Europa? Il regime fiscale favorevole, la propensione dei club ad aprirsi agli imprenditori stranieri (il Chelsea era di Abramovich già dal 2003) e le facilitazioni legate all’uso della stessa lingua li spinsero a riversare nella Premier fiumi di dollari, che oggi, a distanza di qualche tempo, hanno fruttato vittorie importanti e debiti imponenti.



Cominciamo dalla storia più famosa, quella del Manchester United, che nel 2005 venne acquistato per 1,4 miliardi di dollari dall’imprenditore Malcom Glazer, spinto al grande passo anche dal tifo dei figli per i Red Devils. Con lui sono arrivati tre campionati, altrettante Coppe di Lega, una e un Mondiale per club, ma anche un debito complessivo che, nonostante si parli del marchio calcistico più famoso, si aggira sul miliardo di euro. Con lui, infatti, il club di calcio più ricco del mondo perde qualcosa come 57 milioni di euro all’anno e in estate la cessione di Cristiano Ronaldo al Real Madrid per 94 milioni di euro è stata come una goccia nell’oceano. E pensare che Glazer, dopo aver iniziato a far soldi noleggiando roulette per i turisti, passa per esperto nella gestione di club sportivi, visto che prima di arrivare allo United in Patria si era comprato i Tampa Buccaneer, la squadra di football della à di Tampa, in Florida. Solo che poi, dalle casse del Manchester, ha prelevato somme ingenti per far fronte ai debiti contratti per acquistare i Buccaneer. Ecco perché i tifosi dello United non lo sopportano più. Anche grazie alla trattativa tra la cordata capeggiata da DiBenedetto e Unicredit per l’acquisizione della Roma, del


Liverpool sappiamo tutto. Ad ottobre, infatti, i Reds sono stati rilevati dalla società statunitense "New England Sports Ventures", della quale fa parte lo stesso DiBenedetto in qualità di socio di minoranza. La compravendita dei Reds è stata tutta "made in Usa", visto che i precedenti proprietari erano due imprenditori americani del settore delle telecomunicazioni (Georges Gillet e Tom Hicks) che avevano acquistato il Liverpool nel 2007 portandolo ad accumulare più di 400 milioni di euro di debiti in 4 anni. Negativo anche il bilancio sul campo: zero titoli conquistati e il secondo posto nella Premier League 2008-09 come miglior risultato ottenuto. I tifosi dei Reds, dopo aver inscenato pesanti contestazioni nei confronti del duo Gillet- Hicks, confidano nei nuovi proprietari d’oltre oceano per rinverdire i fasti del passato e forse, in questa speranza, si

troveranno stranamente accomunati con quelli della Roma

proprio grazie a mister DiBenedetto. Un altro "americano d’Inghilterra" è Randy Lerner, attuale numero uno dell’Aston Villa, che rilevò nel 2006 da mister Ellis, presidente del club per 23 anni consecutivi. Lerner, già proprietario della franchigia NFL dei Cleveland Browns, sembrava voler rivoluzionare la Premier. Iniziò col cambiare lo stemma e le divise da gioco del Villa, ma lì si fermò e dopo il periodo di splendore vissuto con mister O’Neill (grazie al quale l’Aston divenne la quinta squadra inglese dopo le "Fab Four" Mancheter United, Chelsea, Liverpool e ), oggi il suo club viaggia nei bassifondi della classifica ed è destinato a sudare le classiche sette camicie per salvarsi. E veniamo all’, che per il 45,2% è dell’americano Stan Kroenke e per il resto di un miliardario russo (Alisher Usmanov) e di un imprenditore di origine iraniana (Farhad Moshiri). Anche Kroenke è abituato ad investire nello sport, visto negli States con la sua "Kroenke Sports Enterprises" vanta partecipazioni azionarie in squadre di basket, soccer, hockey su ghiaccio e football. Con lui, Usmanov e Moshiri i Gunners hanno vinto poco e continuano a puntare forte sui giovani, sfornando tanti campioni. Una linea di condotta obbligata anche dalla costruzione del nuovo stadio (l’Emirates) al posto del vecchio e glorioso Highbury, che ha indebitato il club per 268 milioni di sterline. Il discorso dei debiti delle società inglesi a guida americana, però, non deve indurre per forza a pensare male degli industriali a stelle e strisce che investono nel calcio europeo. Oltremanica, infatti, la crisi economica è generale e i conti sono in rosso un po’ per tutti, sia per i proprietari inglesi che per gli altri stranieri come il russo Abramovich (costretto ogni anno a ricapitalizzare per sistemare il bilancio); l’egiziano Mohamed Al Fayed, titolare del Fulham e dei magazzini Harrods; il miliardario francese di origine russa Alexandre Gaydamak, il cui Portsmouth è praticamente fallito; l’irlandese Niall Quinn del Sunderland e la cordata cinese capeggiata da Carson Yeung che guida il Birmingham. In passivo sono anche i conti del Manchester di Mansour bin Zayed Al Nahyan, membro della famiglia reale di Abu Dhabi e del piccolo Millwall, squadra londinese di seconda divisione da poco tempo in mano all’americano John Berylson. Un altro "bostoniano" come DiBenedetto.




Un pochino meglio se la passa il Quens Park Rangers, che appartiene all’indiano Lakshmi Mittal (il quinto uomo più ricco del mondo) e ai suoi soci Flavio Briatore e Bernie Ecclestone. Nonostante questa triade, però, il club continua a navigare nelle pessime acque della "Football League Championship", la seconda serie inglese. Particolare, infine, la storia del West Ham, rimasto coinvolto nel default dell’Islanda e del suo maggior esponente finanziario. Quel Gudmundsson che lo aveva acquistato nel 2006 per 85 milioni di sterline e che, dopo il suo personale fallimento, lo aveva dovuto lasciare alla Cb Holding, una banca islandese divisione della più grande Straumur-Burdaras Bank, creditrice dello stesso Gudmundsson. A gennaio il club è stato rilevato da due magnati inglesi arricchitisi con il porno. I tifosi degli Hammers ancora li ringraziano, anche se la loro squadra lotta sempre per non retrocedere.