Storia di un timido che a 13 anni imparò a volare

22/02/2011 alle 10:48.

IL ROMANISTA (M. IZZI) - A Pomigliano d’Arco fra il 1972 e il 1980, l’Alfa Romeo produceva macchine francamente tristi come l’Alfadsud e l’Alfasud Giardinetta. Quando provarono a rendere meno improbabili i propri modelli, gli ingegneri puntarono sull’Alfasud Sprint, che sembrava la reclame di un automobile per sequestratori, ricurva, quasi incassata.

IL ROMANISTA (M. IZZI) - 
A Pomigliano d’Arco fra il 1972 e il 1980, l’Alfa Romeo produceva macchine francamente tristi come l’Alfadsud e l’Alfasud Giardinetta. Quando provarono a rendere meno improbabili i propri modelli, gli ingegneri puntarono sull’Alfasud Sprint, che sembrava la reclame di un automobile per sequestratori, ricurva, quasi incassata.Ci pensavo meno di due settimane fa,quando mi sono recato a Trigoria per intervistare Vincenzo Montella per il libro dedicato a Giorgio Rossi. Nicola Montella, padre del nuovo allenatore della Roma, lavorava all’Alfasud, e per mantenere una famiglia con cinque figli va più che bene, ma poi, quando tornava a casa, per rilassarsi e creare davvero qualcosa di bello, si dedicava a lavori di falegnameria. Anche dopo essere andato in pensione, continuava a lavorare il legno, anche 15 ore al giorno, tanto che nella casa romana di Vincenzo molti lavori portano il segno della sua “arte”. Mi sembra un modo straordinario per “fuggire” da una realtà alienante come quella della catena di montaggio, Vincenzo, invece, per fuggire da Pomigliano d’Arco ha trovato un modo diverso, ugualmente creativo, quello di tirare calci a un pallone. Per riuscire in questo sogno, però, per non cadere nella “catena di montaggio”, devi essere determinato, serio, riflessivo. Sono qualità che il Mister ha sempre coltivato, fino ad apparire un musone, tanto che quando arrivò alla Roma, Fabio Fazio, suo grande tifoso, si preoccupò di avvertire l’ambiente capitolino: «Montella non è esattamente “l’anima della festa”, è una persona molto riservata, che nasconde la sua timidezza dietro agli occhiali da sole.

Questo atteggiamento rischia di essere scambiato per scontrosità. Tutt’altro, ma ha bisogno di tempo per conoscere le persone ed entrare in sintonia con loro». Era ed è timido Montella e un timido, quando sei bambino e inizi a giocare, lo schiaffano in porta. Finì esattamente così quando entrò nell’l’USSAN Nicola Castelcisterna, la squadra del suo paese, dove venne relegato tra i pali. Capitò la stessa cosa a , che per colmo della sfortuna finì addirittura per fare il alla Lazio (come chiamare vanGogh per fargli fare l’imbianchino). Se vuoi veramente una cosa, però, impari a tirare fuori i denti e da quella linea bianca Montella è riemerso ben presto. Un giorno, nel corso di una di quelle partite che iniziavano all’alba per non terminare, la squadra di Vincenzo era sotto e non riusciva a segnare. Lui iniziò a marcare gli avversari come birilli e la buttò dentro. Il coro dei suoi compagni fu univoco: «Ma tu che cazzo ci giochi a fare in porta? In attacco devi stare!»A 13 anni, viene notato da Lorenzo D’Amato, che gli propone di trasferirsi all’Empoli. La famiglia è contraria, Vincenzo è solo un ragazzino, spedirlo da solo, così lontano, è fuori discussione. A volte, però, anche tirare calci all’oratorio o nella squadretta del Castelcisterna torna utile. Almeno quando un tuo compagno di gioco si chiama Nicola Caccia. Nicola ha già spiccato il volo per sfuggire dai tentacoli dell’Alfa Sud e dalla maledetta catena di montaggio. Gioca ad Empoli e ha 17 anni, quattro in più di Vincenzo. Penserà lui a tenere d’occhio il piccoletto e a garantire che non gli accada nulla di male. Ottenuto il parere favorevole dei genitori, D’Amato supera anche le resistenze del piccolo calciatore in erba: «Fu lui che mi convinse a cambiare aria – raccontò Montella – quando ancora mi divertivo nella squadra dell’oratorio. Ebbe fiducia in me e mi fece fare il primo salto di qualità». 

Quando, finalmente, a 16 anni, il nostro si era affacciato in prima squadra, la “catena di montaggio”sembra reclamarlo di nuovo. Una stupida infezione virale innesca un problema spinoso. Un ragazzo meno determinato, a questo punto avrebbe alzato bandiera bianca, non Vincenzo Montella, che ne viene fuori, più forte di prima, anche grazie: «a Fabrizio Corsi, il presidente dell’Empoli, che non posso dimenticare. Non smise un attimo di incoraggiarmi, nemmeno nei giorni più bui». Montella, lo ha sempre riconosciuto nelle sue interviste, non ha mai avuto dubbi sul fatto che avrebbe sfondato. Non lasci casa a 13 anni, non cresci bruciando tutte le tappe, senza avere dentro un fuoco particolare, che dentro al campo ti trasforma e ti fa dimenticare anche la timidezza. Il primo contratto con l’Empoli, di 400 mila lire, è una grande conquista, finalmente può spedire qualche soldo a casa, sentire di contribuire al benessere dei suoi. Dopo la serie C1 con l’Empoli, arriva la B e il passaggio al . E’ lì, che contro il Cesena realizza la rete che fa nascere l’esultanza dell’Aeroplanino. Del resto uno come lui non avrebbe potuto esultare facendo l’Alfasud Sprint… doveva staccarsi da terra, decollare. Solo che quando gli aerei sono sulla pista, conviene scansarsi. La Roma non era stata avvertita e il ragazzo, trasferitosi alla Sampdoria, il 21 settembre 1996, rifila il primo gol in A (e prima del triplice fischio diventano due), proprio alla Lupa. Su Montella, del resto, si aggira Trotta, e la leggenda vuole che il ragazzo, che non sarebbe neanche male, debba giocare anche con un ginocchio in disordine perché è fidanzato con la figliadell’allenatore Carlos Bianchi. A Vincenzo, come detto, della questione non interessa un fico secco e Sterchele viene impallinato. Con la maglia della Sampdoria disputerà 83 gare con 54 reti, per una media stratosferica di 0,64. 

L’11 giugno 1999, l’Aeroplanino viene presentato aTrigoria, i tifosi capiscono che la Roma sta diventando grandissima. Lui, da parte sua, entra subito in sintonia con l’ambiente: a Giorgio Rossi, uno dei primicon cui lega, un giorno, con il suo solito stile, chiede un’informazione senza cercare di dare nell’occhio: «Dimmi una cosa, tu che sei nella Roma da tanti anni, chi è il giocatore che ha fatto più gol alla Lazio? Quanti ne ha fatti?». Quella domanda, come sappiamo oggi, non era stata fatta tanto per scambiare quattro chiacchiere. Sono mesi di grandissima intensità, anche in Nazionale, con la quale centra la finale del Campionato Europeo. E’ il 2 luglio del 2000, Dino Zoff lo mette in campo a quattro minuti dalla fine, in sostituzione di Marco Delvecchio. La sconfitta arriva in un modo vigliacco, dopo una gara dominata. Quando ho chiesto a Montella se abbia conservato delle maglie della sua carriera ha annuito, la prima che ha citato è stata proprio quella degli Europei dell’Italia, lo ha detto con un’espressione in cui c’era ancora dentro tutto il rammarico di un’occasione irripetibile, per quello sberleffo mastodontico del destino Il 6 maggio del 2001 lo scherzo a Zidane glielo fa, però, proprio Vincenzino, segnando allo scadere uno dei cinque gol più importanti della nostra storia, che vale una fetta enorme dello scudetto che la Roma si cuce in petto. La maglia con lo scudetto, tra l’altro, Montella ha l’onore di consegnarla personalmente ad Alberto Sordi, quando Bruno Vespa gli chiede d’intervenire ad una puntata speciale di “Porta a Porta” dedicata proprio al grande Albertone. Vincenzo si ricorderà di quella serata il 2 marzo del 2003, quando segnerà,contro l’Empoli, nella gara in cui l’Olimpico, ricorda e celebra l’immenso attore romano appena scomparso. I gol, del resto, li ha sempre fatti, come nel febbraio del 2005, quando in una Roma che non stava attraversando esattamente un momento irresistibile, si trovò in testa alla classifica della Scarpa d’Oro, con 36 punti e 18 reti segnate. Il 3 gennaio del 2007, va in prestito al Fulham. Appena arrivato segna una doppietta in coppa e la curva inglese inizia a cantare “Volare”. 

Il rapporto con la Roma rimane saldissimo, tanto che il 23 aprile arriva direttamente da Londra per assistere, nella Chiesa di Santo Stefano degli Abissini, al matrimonio della dottoressa Sensi. Dopo un ritorno proustiano alla Sampdoria, c’è l’estrema parentesi in giallo-rosso, stagione 2008/09, vissuta con 12 presenze in campionato e 2 in UEFA. Il 2 luglio del 2009, poi, la decisione dell’addio al calcio, a nove anni esatti dalla maledetta finale dei Campionati Europei. L’ingresso nei quadri tecnici del settore giovanile della Roma è storia di ieri,davanti a lui, ora, l’avventura affascinante e difficile che lo vede rilevare la guida tecnica della prima squadra. E’ il quinto campione d’Italia della Roma ad avere questo onore. Gli altri, e scusatese è poco, rispondono ai nomi di Masetti, Brunella,Krieziu e Bruno Conti. Una volta, lo diciamo al Mister in segno di buon augurio, Masetti, parlando con Zamora, disse scherzando che lui non era un , ma un centravanti …beh, Vincenzino può ribattere che non è stato un attaccante, ma un e che ora … E qui si finisce di scherzare: è l’allenatore della Roma.