IL GIORNALE (T. DAMASCELLI) - Prima o poi sarebbe accaduto. Claudio Ranieri è stato coerente con se stesso. Ha scelto la soluzione di maggiore dignità, raramente praticata non soltanto nel calcio: le dimissioni. Si è dimesso dalla Roma, o meglio, da Roma, che non lo aveva mai amato veramente come lui, invece, ha amato, per tifo e per pelle.
Ranieri è responsabile di scelte a volte incomprensibili e imprevedibili, lultima allo stadio Ferraris di Genova con linserimento di Menez in una fase delicata della partita. Ma anche i suoi rapporti con Vucinic, con Mexes, con Pizarro, in breve, con tutto lo spogliatoio dei veterani, hanno incrinato la serenità del suo lavoro, il suo stesso equilibrio nelle scelte. Paradossalmente il romanista Ranieri è rimasto vittima della romanità, del suo amore per la squadra e per la città. È stato tradito, come capita puntualmente, proprio da questo, oltre che da alcune scelte sbagliate che sono costate alla squadra un deficit di 11 punti in classifica rispetto alla passata stagione.
Le vicende societarie, il cambio di proprietà non ancora definito e definibile, hanno aumentato il disordine attorno alla squadra, una moltitudine di voci, di strilli, di insulti e di insinuazioni attraverso le radio romane, vero potere mediatico della capitale, hanno finito per accelerare questo epilogo. Il futuro della Roma resta comunque incerto. Il problema vero della squadra giallorossa non sta in panchina, o meglio non è da addebitare soltanto allallenatore. Qualcun altro deve assumersi le responsabilità di una stagione maledetta già allalba, tra infortuni, dissidi, polemiche. È un peccato che la storia della famiglia Sensi, di donna Maria e di sua figlia Rosella, trovi questaltro epilogo amaro che, comunque, prescinde dalla presidenza della figlia di Franco. Quello che è accaduto ieri a Genova, rappresenta il testamento di una squadra, non di un allenatore, e di una società che non ha avuto neanche il coraggio di licenziare il tecnico che, per dignità propria, ha preferito dimettersi.