CORSPORT (L. CASCIOLI) - Ranieri si è dimesso, ammettendo le proprie responsabilità e compiendo uno dei pochi gesti dignitosi della Roma di questanno. La dignità di un uomo, se ce lha, si vede alla prima occhiata; e, se gli è rimasta, allultima. Quando si è stanchi di sopportare il vento, il solo modo di reagire è infilarsi il cappotto e andarsene.
CORSPORT (L. CASCIOLI) -
Ranieri si è dimesso, ammettendo le proprie responsabilità e compiendo uno dei pochi gesti dignitosi della Roma di questanno. La dignità di un uomo, se ce lha, si vede alla prima occhiata; e, se gli è rimasta, allultima. Quando si è stanchi di sopportare il vento, il solo modo di reagire è infilarsi il cappotto e andarsene. Ormai la crisi del la Roma stava assumendo di mensioni cosmiche e comiche insieme. «Ogni minimo raffreddore diventava una polmonite», ci ha detto al telefono lallenatore. A Genova, dopo aver domi nato per 50 minuti, la squadra ci ha mostrato la peggiore im magine di sé, con una rassegna zione al peggio quasi suicida. Una grande squadra si ricono sce quando non ha paura di vin cere. Invece la Roma, nel suo momento migliore, era come se annusasse già la sua Waterloo. Il gol che decide il risultato fi nale infatti non è il quarto del Genoa, ma il primo di Palacio, realizzato quando la Roma, dopo la rete di Totti, si attardava, come Narciso, a fissare lo sta gno che la rifletteva vincente. Era già successo nella partita di Champions e questo ci fa teme re che non è lontano il giorno in cui la Roma e i suoi avversari segneranno contemporanea mente. Quello che è successo a Ma rassi ci ricorda però la dabbe naggine di quel sarto che con la stoffa di un mantello non seppe confezionare neanche un pan ciotto. Ma cè poco da scherza re perché il redivivo Totti aveva disputato la sua migliore parti ta, perché la squadra sembrava voler rispondere per le rime al la contestazione dei tifosi. E se una conclusione si può trarre da queste amare vicende è questa: che la colpa di quello che sta ac cadendo è di tutti.
Le partite della Roma diventano ormai troppo spesso imprese alla rove scia per pensare che si tratti di fatti episodici. Cè nei giocatori un complesso inconscio, come negli occhi di tutti i cani cè il ri cordo delle antiche bastonature. Una squadra ricca di vitalità, concentrata, aggressiva sui por tatori di palla, rapida nei rilan ci di gioco, ci aveva fatto spera re in una Roma rinata dalle sue ceneri come la mitica Fenice. Poi invece la squadra è lenta mente scivolata nel fosso. Adesso sappiamo tutto. Le ul time quattro partite hanno rivelato i motivi della crisi, come una valigia alla dogana. I gio catori pretendono moduli ad personam, ignorando linteres se collettivo. La difesa è da me si nel pallone, anche perché il centrocampo non fa filtro, non costruisce gioco e diserta le fa sce laterali. Lungaggini, soste e lentezza dominano i gesti di tut ti non appena saffaccia la fati ca. Quello che resta di buono non si fa neppure in tempo a confrontarlo con i ricordi, che già tutto si confonde, come suc cede per gli elementi di un pae saggio osservati da un treno in corsa. E adesso che fare? Questa do manda, nella Roma, se la sono posta spesso tutti, intendendo però sempre cosa dovrebbero fare gli altri; nessuno si è mai chiesto che cosa doveva fare egli stesso, dirigenti e giocatori compresi. Cè ormai bisogno di una severa assunzione di responsabilità da parte di que stultimi, ai quali più che un al tro capro espiatorio affiderei il compito di autogestirsi. Bisogna ricominciare a fare punti. Biso gna rimodellare una Roma or dinata, concentrata, puntuale e soprattutto viva. Montella utiliz zi uno specchietto e lo accosti alle labbra di chi deciderà di spedire in campo. Se non si ap panna, ne scelga un altro.