IL ROMANISTA (D. GIANNINI) - Sembra destino che quando Mirko Vuicinic fa dei gol così poi diventi una giornata triste. Era successo lo stesso il 18 maggio del 2008, il giorno di Catania-Roma, quando lo scudetto lo annusammo soltanto, per poi vederlo finire in casa Inter. La rete di ieri a Marassi ricorda molto quella nel rovente Massi
Per il montenegrino quella di ieri era la prova del nove dopo la doppietta fatta coi nervi al Catania e realizzata in una manciata di minuti. Stavolta aveva a disposizione tutta la partita. Unarma a doppio taglio: da una parte la possibilità di mettere in mostra il suo talento per più tempo, ma dallaltra il rischio di diluire nei 90 minuti quella cattiveria che a certi livelli fa la differenza. Per fortuna non è stato così e il fumo dal naso ha continuato ad uscirgli dallinizio alla fine, segno di una voglia senza pari di riprendersi una maglia da titolare.Quella voglia che gli permette di arrivare sempre a mettere la punta del piede dove lavversario crede di avere la palla. Una zampata, quasi ununghiata, e via a ripartire.
Una, dieci, cento volte. Dopo il gol non si è fermato, ha continuato a spingere sullacceleratore e si è andato anche a prendere un mezzo rigore per un fallo di mano di Lucchini che Rocchi non gli ha dato mandandolo su tutte le furie. Grinta, grinta, grinta, che, se non ci fosse stato Perrotta a fermarlo, in quel momento si sarebbe mangiato larbitro. E poi tante giocate che solo i geni possono fare: come uno stop sulla fascia destra dal quoziente di difficoltà infinito. Roba che quasi chiunque si sarebbe fermato a compiacersi per quello che aveva fatto. Non lui. Lui una frazione di secondo dopo aver messo la palla a terra ti tira fuori dal cilindro il tacco per il compagno che si inserisce alle sue spalle. Bello, bello, bello. Come i recuperi in difesa per andare ad aiutare Cassetti che da quella parte soffriva le incursioni di Guberti.




