Viola e la prima scelta: Liedholm

15/01/2011 alle 12:14.

IL ROMANISTA (M. IZZI) - A venti anni dalla scomparsa del presidente Viola più che a un racconto, per ricordarlo ci affidiamo ad una serie di flash, immagini, piccoli aneddoti poco noti o ormai dimenticati. La “vulgata” ufficiale vuole che Nils Liedholm dopo la conquista dello scudetto “della stella” del 1979 avesse già deciso di lasciare il Milan. A guardare quelle che furono le dichiarazioni del grande tecnico svedese subito dopo quel trionfo c’è da non crederci.

 

Per chi conosceva a fondo l’organigramma romanista degli ultimi quindici anni, quello di Viola era tutt’altro che un nome nuovo. Vicepresidente con Alvaro Marchini, lo aveva seguito quando questi aveva lasciato, salvo poi esercitare l’attivo ruolo di consigliere con Anzalone. A chi gli aveva chiesto perché fosse tornato aveva risposto

con il solito humour: «A dire il vero non me ne sono mai andato». Solamente un anno prima Dino era stato vicinissimo a rilevare la società. La trattativa era così ben avviata che l’aspirante “patron” aveva già, praticamente, concluso tre acquisti. Un ripensamento di Anzalone aveva fatto saltare tutto ma questa volta non ci sarebbe stato nessun colpo di scena. Viola ha sempre raccontato che all’epoca in cui Liedholm era partito verso Milano, nel 1976, si era fatto promettere che sarebbe tornato nel caso lui avesse rilevato il club. In realtà quella richiesta c’era stata solo pochi mesi prima, quando Viola aveva incrociato il Barone allo Stadio Olimpico. Una cosa è certa, la prima mossa... addirittura la prima telefonata fatta da Viola da proprietario della Roma fu proprio rivolta a Nils Liedholm. Quando il 21 maggio ospitò la stampa per salutare ufficialmente il suo nuovo allenatore, si vide la sua capacità “sciamanica” di lasciarsi subito alle spalle i successi, come se non esistessero più: «Questo gradito incontro non è per presentare il signor Liedholm è persona troppo conosciuta e apprezzata per essere presentato. E’ un’occasione per fargli i rallegramenti per il decimo scudetto e la stella conquistata con il Milan al quale oltre ai rallegramenti formuliamo un augurio per il futuro ».

 

La “Rometta” che faceva gli auguri al Milan per il futuro dopo avergli strappato la guida? Roba da non credere!

Gli anni a venire avrebbero confermato che questo presidente non era disposto a riconoscere le gerarchie consolidate, né ad accettare pacificamente gli schiaffi del potere. Il 12 maggio del 1981, 48 ore dopo l’immane scippo subito con l’annullamento del gol di Turone e la conseguente eclissi bianconera sullo scudetto, Viola, durissimo, tuonò: «Chi per tutta la vita è stato costretto a mordere la polvere è più corazzato di fronte alle avversità. Noi della Roma, compreso io che la rappresento e che vengo dalla gavetta, sappiamo non perdere la testa di fronte alle avversità, ma bisogna pure capire questi signorini, quei figli di papà che hanno sempre quello che hanno voluto e che ora trovano difficoltà impreviste ed inaccettabili secondo la loro arrogante

etica». Nello scoramento che seguì quel furto, lui continuava ad avere la certezza assoluta che avrebbe vinto. A volte veniva raggiunto da premonizioni da veggente che lasciano senza parole. Il 4 luglio 1982, ad esempio, prima del match mondiale tra Italia e Brasile, tutto il mondo ci dava per spacciati. Lo stesso club azzurro stava febbrilmente preparando i bagagli, Viola, invece, tra lo scetticismo del cronista che raccoglieva il suo parere avvisò: « Ho letto che gli azzurri hanno già fissato il rientro per martedì pomeriggio: dovranno rinviarlo». Quando a luglio si trattò di scegliere il luogo di raduno della squadra prima della partenza per il ritiro, quella sensazione di vittoria gli era rimasta cucita addosso: «Ho scelto il Villa Pamphili perché qui si è radunata la nazionale prima di partire per la Spagna. Porterà fortuna anche a noi». Nel dicembre dello stesso anno, i cronisti, affamati di particolari di colore, gli chiesero cosa avesse ricevuto per Natale, lui, sornione, solfeggiò la risposta: «I giocatori della prima squadra mi hanno regalato un calamaio, accompagnato da questo biglietto:

"Con l’augurio che ci possa intingere la penna per firmare gli assegni del premio scudetto". Lo scudetto è stata la sua ossessione? Se lo è mai stata, l’ha bruciata un minuto dopo averlo conquistato. Mentre tutta Roma impazziva, lui non era neanche in à, e per giunta era di malumore per i problemi legati al rinnovo di contratto di Falcao. Dopo qualche mese sarebbe arrivato ad osservare: «Lo scudetto, in confronto alla


Coppa dei Campioni è solo un palloncino che ti regalano per non farti andare sulla giostra».