«Tre minuti è niente Non è stato giusto»

11/01/2011 alle 10:02.

IL ROMANISTA (M. MACEDONIO) - Quasi diciotto gli anni trascorsi da quel giorno. Due estremi temporali che sembrano quasi toccarsi, anche se così lontane tra loro sono le due situazioni. Era il 28 marzo del ’93: un giorno magico, perché quello dell’esordio di Francesco Totti in serie A. Accadeva a Brescia, la Roma in vantaggio 2 a 0, con il cartello che, a 2 minuti dalla fine, segnalava l’ingresso in campo di un ragazzino. A fargli posto, in quel tranquillo finale di partita, Ruggiero Rizzitelli. «Ricordo bene quel momento – racconta oggi Rizzi-gol -. Boskov mi chiamò per dirmi che voleva farlo entrare. In società s’era già capito che aveva piedi e numeri per far bene».


giorno magico, perché quello dell’esordio di in serie A. Accadeva a Brescia, la Roma in vantaggio 2 a 0, con il cartello che, a 2 minuti dalla fine, segnalava l’ingresso in campo di un ragazzino. A fargli posto, in quel tranquillo finale di partita,
Ruggiero Rizzitelli. «Ricordo bene quel momento – racconta oggi Rizzi-gol -. Boskov mi chiamò per dirmi che voleva farlo entrare. In società s’era già capito che aveva piedi e numeri per far bene».

 

Se per un ragazzino è una gioia entrare anche a tempo scaduto, come giudichi il suo ingresso in campo, in quei quattro minuti, domenica a Marassi?

«E’ come non averlo fatto entrare. E, nel caso di , trovo che non sia stato giusto. Da giocatore, mi è dispiaciuto anche quando è successo a Ronaldinho, un altro campione, di esser mandato in campo negli ultimi tre minuti. E’ normale che Ranieri dica che la sua non è stata una mancanza di rispetto, ma, dall’altra parte, è logico che venga invece vissuta così. Se un giorno farò l’allenatore preferirò sempre evitarle, tali scelte. Perché anche a me non faceva piacere entrare a partita praticamente finita. In questi casi, bisogna anche tener conto delle caratteristiche del giocatore. C’è quello che, grazie al fisico piccolo, minuto, è in grado da subito, anche a freddo, di entrare in partita. Come era Salsano, sempre pronto per qualsiasi uso. E c’è quello, come Francesco, che ha una struttura diversa e difficilmente può incidere altrettanto. E’ vero, come dice il tecnico, che lui con una giocata può risolvere la partita. Ma anche per lui non è facile farlo in quelle condizioni. L’allenatore deve essere anche psicologo. E un campione come , già costretto in panchina, va gestito meglio».


 

Che idea ti sei fatto di questa Roma, dopo la sconfitta di Genova?

«Il problema della squadra, in questa stagione, non è tanto nell’attacco, perché i gol li ha sempre fatti, quanto nella difesa. Credo che molto nasca dal fatto che dei tre centrali non si sappia quali siano i due veri titolari. Singolarmente, sono tra i più forti in assoluto. Ma, se una volta gioca una coppia, e una volta un’altra, si crea confusione, mancanza di tranquillità e insicurezza. Se guardiamo alle partite giocate, ogni volta ce n’è

uno che ha commesso almeno un errore clamoroso. E’ successo a Burdisso. A Juan. Paradossalmente, quello che all’inizio sembrava il meno titolato, Mexes, è proprio quello che finora ha fatto meglio».

 

Come ti spieghi che la squadra, in casa, è la migliore del campionato, mentre in trasferta è tra quelle che

hanno fatto peggio?


«Più che un confronto tra casa e fuori, lo farei tra sfide con le grandi e le piccole. Con le squadre forti, la Roma

non ha sbagliato mai. Segno che è un problema di motivazioni. Non è però possibile che questi giocatori trovino la concentrazione solo quando è addirittura superfluo pensare di caricarli, mentre non ce l’abbiano negli altri casi. Già dai tempi di Capello, e poi con Spalletti e Ranieri, la Roma ha perso almeno quattro-cinque scudetti, sempre con le provinciali. E non capisco come, avendone già persi così tanti, questi ragazzi non riescano a cambiare atteggiamento, facendo bene anche con le squadre, non dico piccole, ma anche solo “normali”, come era la Samp di domenica ».

 

A proposito di squadre normali, cosa ti aspetti dal confronto col Cesena, che tu conosci bene, anche alla luce di un turno che non ha modificato più di tanto certi equilibri?

«E questo è un rammarico ulteriore. Perché quando le altre incappano in qualche sgambetto, la Roma è capace di farselo doppio, e da sola. Quella di domenica è un’altra partita col punto interrogativo. Perché ormai

s’è capito che la Roma può vincere, ma anche perdere, con chiunque. Il Cesena è una squadra che sul proprio campo si esalta e, come tutte le piccole, dà il 110%. Ne sanno qualcosa Milan e Lazio. Proprio per questo serve una concentrazione maggiore. Sarà importante farle subito uno o due gol, perché diventi una passeggiata. Altrimenti si rischia di complicare tutto».

 

Credi ancora nello scudetto?

«Il discorso resta apertissimo. Il Milan non mi sembra la squadra che domina e vince. Davanti è fortissima, ma dietro lascia molto a desiderare. Non è come l’Inter di questi anni, che quando girava non ce n’era per nessuno. Il ? Sta facendo un grandissimo campionato, ma non credo abbia i mezzi per arrivare fino in fondo. Quanto alla Roma, la squadra c’è, il turn-over può essere utile, ma gli undici devono essere tali. E chi entra deve farsi trovare pronto. Serve continuità e una gestione che non crei scontento in questo o quello. Non mi piace leggere di “tristezza a Trigoria”. In una squadra che vuole risalire ci vogliono entusiasmo e serenità.


E a quel punto, nessun traguardo è precluso».