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Iorio: "Il mio indimenticabile gol alla Lazio in Coppa"

18/01/2011 alle 11:48.

IL ROMANISTA (M. MACEDONIO) - «Quel derby di Coppa Italia? E come non ricordarlo! Era la mia prima partita, quell’anno (9 settembre ’84, ndr), dopo un infortunio alla caviglia e la stagione passata a Verona». Al telefono, anche se solo dalla voce, si intuisce che devono brillargli gli occhi, a Maurizio Iorio, nel tornare con la mente a quella gara.

 
Due stagioni a Roma. La prima con Nils Liedholm; la seconda, due anni dopo, con Sven Goran Eriksson.
 
«Due grandi figure. Anche se i ricordi più belli, ovviamente, sono quelli legati a Liedholm, con cui ho vissuto tutta la stagione dello scudetto, nell’82/83. Ma Eriksson si rivelò pure lui un grande tecnico, perché portò un modo nuovo di allenarsi, anche molto piacevole. Era però al suo primo anno in Italia e una cosa che lo penalizzò fu l’aver avuto a disposizione una rosa fin troppo ampia, in tempi in cui, a differenza di oggi, gli organici delle squadre erano decisamente più limitati numericamente. E questo creò più di qualche scompenso all’interno dello spogliatoio».
 
Una questione che sembra riproporsi oggi, causa il turn-over al quale è spesso “costretto” Ranieri. Come si gestiscono situazioni come queste?
 
«Non è facile. Quando hai un organico come quello della Roma, soprattutto nel reparto offensivo, diventa problematico per chiunque gestire al meglio il gruppo. Mi sembra, anzi, che qualcuno sia anche abbastanza tranquillo. Perché, ad esempio, Adriano – e parliamo di un grande campione - non mi sembra abbia mai avuto nulla da ridire circa il suo star fuori...».


Anche se lui, per primo, sapeva in questi mesi di non essere ancora pronto.
 
«Sì, ma per esser pronto devi poter giocare. E se non lo fai mai è ancora più difficile ritrovare la condizione. Anche , ora, non è più al cento percento. E parliamo di un giocatore che può fare qualsiasi cosa. Mi sembra che anche in lui, purtroppo, sia subentrata una certa insicurezza. Lo si vede palesemente. Figuriamoci in Adriano, che ha giocato due partite e mezzo! Domenica, Ranieri ha dovuto lasciar fuori Borriello, che pure è uno che ha già segnato una caterva di gol, solo per non creare ulteriori motivi di scontento. Magari in Vucinic, o in qualcun altro».


Perché qui è più difficile che altrove?
 
«Roma è una piazza unica, meravigliosa. In tutti i sensi. Ma, forse, a volte un po’ esagerata per tutto quello che vi ruota intorno a livello mediatico. Questo non aiuta il lavoro dell’allenatore, che già di per sé non è semplice. Perché se hai una rosa di 12-13 titolari e 3-4, più modesti, che si aggiungono, tutto diventa facile, anche se non puoi certo competere su tutti i fronti. Se invece hai un organico importante come quello della Roma, delle due l’una: o i giocatori sono così intelligenti da saper accettare la situazione, o sennò ogni domenica ci sono dei problemi. Che se anche non nascono nello spogliatoio, vengono creati dall’esterno».
 
Al di là delle polemiche, che impressione ti sei fatto della Roma di quest’anno?
 
«La Roma paga, a mio parere, le tante problematiche che vive a livello societario. Credo che l’organico sia altamente competitivo. In tutti i reparti. Una bellissima squadra, che davanti può giocare di potenza, ma anche di tecnica. Con attaccanti, al centro ed esterni, di livello assoluto».
 
Quanto serve realmente la compattezza, in un gruppo, per arrivare a traguardi importanti, come riuscì a voi nell’82/83?
 
«La compattezza la fanno solo i risultati. Se vinci, sentirai sempre parlare di gruppo unito, meraviglioso e via dicendo. Altrimenti, ecco venir fuori lo “spogliatoio spaccato” o i contrasti tra questo e quello. Il nostro era un gruppo normalissimo. Soprattutto, era una squadra forte. Con qualcuno avevi rapporti migliori, con altri meno, ma sempre nel rispetto reciproco. Screzi? Altroché! E’ normale che possa succedere. Sia tra giocatori, che tra un giocatore e il tecnico. L’importante è che tutto avvenga nelle dovute forme. In questo senso, la scorsa settimana, è stato bravissimo. Perché se lo screzio va nella giusta direzione, serve anche a fortificare un gruppo. Se ognuno guarda invece alla propria “stradina”, diventa tutto più difficile».
 
Domenica si è parlato tanto, forse troppo, di Vucinic e del calcione rifilato alla borsa uscendo a dieci minuti dalla fine.
 
«Un episodio enfatizzato. Ci sta che quando si esce, anche a poco dal termine, non si sia contenti. Ma oggi, anche il minimo gesto viene amplificato, mentre in quel caso si poteva tranquillamente sorvolare. Ha detto bene Ranieri: 'Ci parlerò nello spogliatoio'. E’ cosi che si fa. Ci si chiarisce e si riparte».
 
Parola di Campione d’Italia.