IL ROMANISTA (G. PIACENTINI) - «Siamo una squadra indomita, non è facile risollevarsi ma abbiamo voglia di lottare». Dopo la sconfitta di Palermo, Claudio Ranieri parla della sua squadra al sito della Uefa. Cè voglia di reagire, subito, fin dalla gara col Chievo di domani pomeriggio. Una partita complicata, soprattutto perché arriva alla fine di una settimana che è stata ricca di polemiche in casa giallorossa.
La sua storia con la Roma parte da lontano. «Non ricordo il mio primo contratto, ero molto giovane, ma io e la Roma eravamo già una cosa sola. Ho sempre giocato a calcio. In Italia si cresceva negli oratori e io ci andavo con i miei amici. Si giocava a calcio, pallavolo, basket. Io giocavo sempre contro i più grandi per mettermi alla prova. Andavo sempre alla chiesa di San Saba, il mio quartiere, e in quella vicina di Testaccio». Ranieri ricorda il suo esordio, il 4 novembre 1973, in una gara persa 2-1 contro il Genoa. «È stato straordinario. Mi emozionavo al solo pensiero, poi è arrivato il grande giorno. Era un sogno che diventava realtà, dopo molti sacrifici e allenamenti, ma non importava perché il sogno si stava avverando. E un altro sogno è allenare la squadra per cui tifavo da bambino. Dopo aver girato per 35 anni, è stato meraviglioso tornare nella mia città. Ho una doppia responsabilità: una da allenatore e laltro tifoso, quindi si moltiplica tutto per due. Se perdi, sei triste per la sconfitta ma anche perché sei un tifoso. Nessuno è profeta in patria vero? La mia paura è proprio questa perché penso: "Che faccio se le cose vanno male?". Siamo un po eccessivi. Amiamo la nostra città con tutto il cuore e ne siamo orgogliosi. Qui si dice: "La Roma non si discute, si ama"».