L´eruzione di Lord Ranieri addio alla maschera grigia per combattere i fantasmi

14/12/2010 alle 10:09.

LA REPUBBLICA - La sua parabola ricorda quella del serio professore e ministro di piombo che un giorno si toglie un sassolino dalla scarpa e alé, vien giù la valanga È il duca che rispondeva a Mou con uno sbadiglio. Ma il sospetto è che dentro fosse già una furia. Dopo Lippi, ora teme l´arrivo di Ancelotti


È il duca che rispondeva a Mou con uno sbadiglio. Ma il sospetto è che dentro fosse già una furia. Dopo Lippi, ora teme l´arrivo di



Dicevano di lui un tempo: «Tutto quel che vi pare, ma almeno è un gran signore», «L´abbiamo scelto per il suo stile», «Nel calcio urlato, una voce pacata». Dice lui, adesso: «V´attaccate ar fumo de la pipa e i romanisti stanno a gode´ come ricci!», «Ma quante seghe mentali vi fate?», «Quer signorino lì, che vuole alzare l´audience».

Ran-ieri e Ran-oggi: cronaca di una metamorfosi annunciata. Da lui stesso: «Sì, sono cambiato». Come dire, ce n´eravamo accorti. S´è perfino cambiato d´abito, alla vigilia di Roma-, con la squadra in cantina e l´odore di Lippi in camera («Ma che pensate? Che mi son sempre fumato il sigaro in panchina?»).
Via il completo con la giacca dal revere stretto, conferenza stampa in tuta, quasi sette minuti senza domande, un monologo, a occhi sbarrati, con picchi notevoli nel testo e nella recitazione: «Parlare dopo è FA-CI-LE!», «‘Sta squadra ha le palle!», «Non faccio l´elenco di chi butta fango, ma ce ne ricorderemo!».

Ce lo ricorderemo, Ran-oggi: sta diventando indimenticabile. La sfuriata di domenica contro Sky e i suoi commentatori è soltanto l´ultimo episodio di un crescendo. Cominciato quando? Ecco: il giornalismo non è psicanalisi, non indaga complessi e non cura niente e nessuno. Si fanno cronache, si ricercano fatti e li si mettono insieme. Il risultato, più che il sospetto, alla fine di questo lavoro, è che Ran-ieri non sia mai esistito, che fosse una maschera, l´abito con dentro un monaco già furioso con Dio e gli uomini. Ma come? Questo è il duca che rispondeva alle provocazioni di Mourinho sbadigliando: «Mi danno la noia». Che, cacciato da Blanc come mai nessuno prima alla , se n´è andato in silenzio a cercare un destino migliore, l´ha trovato e non s´è voltato indietro a rinfacciare. Che ha scritto un sereno diario degli anni al Chelsea intitolato "Proud man walking" (Uomo fiero che cammina). Tutto vero, ma dentro gli ribolliva il tormento, fuori gli si allentava il guinzaglio.



La sua parabola ricorda, in scala, quella di Francesco Cossiga. Serio professore, ministro di piombo, grigio presidente, un giorno si toglie un sassolino dalla scarpa e alé, vien giù la valanga. Perché alla fine, tirare le pietre è meglio che prenderle. E Ran-oggi si è stufato di fare il bersaglio. La verità? Non gli è mai piaciuto. Dagli anni all´estero, tra Spagna e Inghilterra, è tornato rafforzato nell´immagine di lord, di italiano presentabile. Infatti arriva a Parma e che cosa dice? «Io non faccio feriti, faccio morti!». Segue giustificazione: «Era una metafora». Di che cosa? La miccia era lunga, ci ha messo tanto, ma alla fine è esplosa.

Adesso, quando gli prende, parla di sé in terza persona: «Che ne sapete voi della carriera di Ranieri? Quanti moduli ha cambiato e quanto ha vinto?». Partendo dall´ultima domanda: una coppa Italia con la , una di Spagna e una Supercoppa Uefa con il Valencia. Volendo, il secondo posto dell´anno scorso vale mezzo scudetto (per lui che il bicchiere lo vede mezzo pieno). Quanto ai moduli, la parola a Romario: «Con i suoi schemi non segnerebbe manco Pelè». La carriera, infine. Da giocatore lo scovò Helenio Herrera alla Roma, ma fece la storia del Catanzaro.



Da allenatore ha guidato la Vigor Lamezia e l´Atletico Madrid, il Campania Puteolana e il (dove disse: «Se sono favorevole al ritorno di Maradona? Prima voglio conoscerlo»). Ha portato il Cagliari dalla C alla A, la dalla B alla Supercoppa. Ha salvato il Parma. Fatto bene a Valencia. Poi, finalmente, ha avuto il sogno di una vita: la Roma. Ha rischiato di trasformarlo nella più incredibile della realtà, ma si è svegliato. E adesso vede avvicinarsi la fine: via l´ombra di Lippi, ecco quella di , che da romano e romanista non può esorcizzare. Dopo aver detto: «Ricordo ai catoni che subentrare non è come programmare una squadra», ora cerca di tenersi a galla nella diarrea di Pizarro che quando la evoca non sembra affatto una metafora.

Quel che fa Ran-oggi a guardar bene non appare casuale, ricorda piuttosto una strategia, la stessa usata già ai tempi della Puteolana. Quando le cose vanno male, quando i presidenti si preparano a scaricarlo, fa appello ai giocatori, ne cerca il sostegno. Quando anche loro lo abbandonano si appella alla curva.

Ran-oggi è il gladiatore solitario, tradito dal capitano che sbaglia mira e dai militi ingrati, né può appellarsi alla clemenza di questo Adriano Imperatore di terza classe che gli hanno rifilato. E allora si rivolge al popolo, in nome suo attacca il commentatore juventino, il giornalista laziale, il destino milanista. Disse, al crepuscolo fiorentino: «Qui ho l´impressione di aver fatto il mio tempo, sto seduto su un vulcano». Nella stessa condizione, ora, erutta lui.