IL ROMANISTA (M. MACEDONIO) - «Lo sciopero? Se i calciatori hanno preso questa decisione, è per arrivare ad una soluzione, non certo per non arrivarci». Parla chiaro, come sempre, Damiano Tommasi. Lo fa in veste di esponente dellAic, ma anche di tifoso
Cominciamo proprio dalla squadra giallorossa. Come lhai vista al Bentegodi?
«La Roma è abituata, come tutte le grandi squadre quando sono in vantaggio, a gestire la partita. E su quel campo non era certo facile. Il Chievo lha messa sul piano agonistico, e la Roma ne ha un po sofferto. Non ho visto il terreno da vicino, perché ero in tribuna. Ma era sicuramente pesante. Cerano però i due capitani, larbitro. E se hanno deciso di giocare, probabilmente
vi erano gli estremi per farlo. Lanno, da queste parti, si sta rivelando fuori dalla norma quanto a precipitazioni. In settimana ero andato a vedere anche il Verona, e la situazione, se possibile, era addirittura peggiore».
Si vedevano ancora le linee tracciate per la gara di rugby giocata venti giorni fa. Che è ciò che ha tratto in inganno Taddei, con quel controfallo da cui è scaturito il secondo gol.
«Un episodio abbastanza curioso, quello. Ma se posso spezzare una lancia in favore di Verona,
è che il tempo, in queste settimane, non ha lasciato spazio neanche a chi avrebbe dovuto, e potuto, lavorare alla manutenzione dello stadio. Comè vero che molte partite, in questo periodo dellanno, possono avere questa problematica in più».
Può essere, questo dei campi al limitedellimpraticabilità, un altro tema allattenzione dellAssociazione Italiana Calciatori, visti anche i rischi per la salute dei giocatori?
«I temi possono essere tanti. Dipende solo dalla volontà di discuterne. Che, purtroppo, spesso manca».
Domani (oggi, ndr), Lega e Sindacato saranno di nuovo chiamati a confrontarsi. Cosa ti aspetti?
«Come consigliere dellAic, non posso che ribadire quanto già espresso dallassociazione. Personalmente, sono sorpreso che la Lega dica determinate cose allesterno ma poi, nei fatti, ne sostenga altre».
Che idea ti sei fatto della situazione?
«Mi sembra che, da parte delle società, si voglia avere dei paracadute: a scelte che, col passare
degli anni, possono non rivelarsi felici, o a contratti che magari ci si pente di aver sottoscritto. LAssociazione ha sempre partecipato alle riunioni con lintento di portare avanti la trattativa. Anche mettendo dei paletti, certamente. Si parla tanto di momento critico, ma al contrario di quanto si racconta - mai come
questanno le società di A hanno avuto introiti così elevati dai diritti televisivi. Se la gente però sente parlare daltro, si fa unidea diversa. Il problema, ancora una volta, è quello di definire il ruolo dei giocatori. Che non vuole essere quello di chi decide, ma di chi vuole poter dire la sua, senza passare per ricco viziato. Ricordiamoci anche che dovere del sindacato è quello di tutelare chi ha meno forza contrattuale.
Il problema dei fuori rosa?
O si fa parte di una squadra o non se ne fa parte. Oggi, con laccordo attuale, se un giocatore non rientra nel progetto, ha almeno la possibilità di allenarsi. Diverso il discorso se lallenamento in gruppi separati è dettato da esigenze tecniche».
Le società lamentano un potere crescente da parte dei giocatori.
«Purtroppo, si fa finta di dimenticare che, in calce ai contratti, ci sono due firme, apposte in maniera libera: quella della società e quella del calciatore. Che sottoscrivono un accordo nel pieno delle loro facoltà mentali. Nessun calciatore ha mai imposto un contratto alla società. Per farlo, il contratto, bisogna essere in due. Con regole, clausole, certamente. Ma nel rispetto reciproco. Penso ai trasferimenti obbligatori. Il concetto è sempre lo stesso: voler disporre del calciatore.
E per farlo, ci si aggrappa spesso agli esempi negativi, servendosene». Si può essere ottimisti?
«E dal 1° luglio che i giocatori sono senza contratto collettivo. Nel frattempo, ne sono stati firmati tanti, di nuovi contratti, compilati ancora sul modulo del vecchio accordo. Con molti punti di domanda. Che, oggi, mi auguro trovino risposta».




