IL MESSAGGERO (U. TRANI) - «Io, con la Roma, voglio vincere sempre, non solo contro la Juve». Non bisogna farsi ingannare dalla frase di Claudio Ranieri. Perché, conoscendolo, non è che improvvisamente abbia dimenticato il suo recente e triste passato. Ma il significato della sua uscita, alla vigilia di quella che per anni e oggi solo un po di meno, è stata la madre d tutte le partite, è più profondo e interessato. Con un mezz
Così, non solo toglie quel pizzico di veleno e il suo tanto rancore allanticipo della dodicesima giornata, ma addirittura avverte il suo gruppo sullapproccio da avere. Sempre e comunque. «Grandi o piccole che siano, abbiamo il dovere di trovare gli stimoli e quindi di entrare in campo per prenderci i tre punti». Insisterà, più volte, sul concetto di non guardare in faccia lavversario. «La gara di Torino è solo uno degli ostacoli che, di volta in volta, dobbiamo superare nel percorso del campionato. Non sarà mai una gara, questa come le altre, in cui la mia squadra dovrà darmi le risposte giuste. Non cerchiamo la consacrazione. Ci aspetta un esame contro una squadra forte e una società prestigiosa. Gli esami, come nella commedia di Eduardo, non finiscono mai. Ma la Roma, seconda per due volte a un soffio dal titolo, è già gruppo di qualità, continuità e carattere. La conferma cè stata adesso che si è ritrovata».
Anche con Del Neri che, nellaprile scorso vincendo con la Sampdoria allOlimpico, lo privò del possibile suo primo scudetto, è rispettoso: «Non cerco rivincite nè con la Juve, saluterò tutti come sempre, nè con lui. È un grande allenatore. A me interessa la Roma che non deve sbagliare contro giocatori che possono decidere la sfida in qualsiasi momento e che io conosco molto bene. Noi, però, dobbiamo battere il ferro sino a quando è caldo». Ranieri, insomma, predica punti e non polemiche. Lasciato perdere Reja già prima del turno infrasettimanale, non si accanisce di nuovo con Blanc, inquadrato come colpevole per il famoso incontro con Lippi: poche settimane fa definì «signorino» il francese che, ancora ad bianconero, non si occupa più dellarea tecnica. «Io parlo solo di calcio e certi discorsi non ne fanno parte». Meglio soffermarsi su Aquilani: «Lo volevo al Chelsea: aveva sedici anni».
E sulla striscia positiva, 5 partite di fila e 4 vittorie tra campionato e coppe, e soprattutto sui 13 punti in 5 gare che hanno riavvicinato la Roma alla Juve, ora avanti solo un punto, e al vertice della classifica, a cinque dal Milan capolista. «Ecco, bisogna provare a scavalcare i bianconeri». Spiega le differenze tra la rincorsa della stagione scorsa e quella di oggi appena accennata: «Quando Spalletti lasciò, subentrando trovai un gruppo in difficoltà, bravo poi a riprendersi. Questanno abbiamo commesso errori, non riuscendo a partire come volevamo. Cioè da dove avevamo lasciato. Ma la reazione cè stata ancora una volta: perché questa Roma lotta sempre».
Davanti dovrà scegliere tra Totti e Borriello, perché Vucinic, saltata la Fiorentina, dovrebbe essere sicuro: «Non è vero che uno è di troppo. Quando vuoi lottare per tre obiettivi non bastano buone alternative, ma servono validi campioni. Poi a turno giocheranno tutti, a seconda del momento, di chi sta meglio. Nelle grandi squadre è così». Nessun problema, dunque, a mettere Totti in panchina, come accadde nella finale di Coppa Italia. «Non mi sono pentito quella sera e non sarà mai un problema tenerlo fuori. Più che escludere Totti, mi è difficile non convocare Antunes che lavora come un ossesso e meriterebbe di venire. Con Totti cè una corsia preferenziale perché ci capiamo al volo. Ma non cè più quando giudico per il bene della Roma. Ora sto qui e mi prendo Francesco. Ma dalla torre non butterei nè lui nè Del Piero, campioni che rendono facili le cose impossibili e che fanno innamorare la gente».