Jeremy come Gigi Meroni, quando il calcio è poesia

25/11/2010 alle 11:16.

IL ROMANISTA (F. ACITELLI) - E dunque accade di mirare qualcosa d’altro sul fronte d’attacco. E’ inesatto dire sulla fascia destra - ovvero soltanto lì - visto che uno come Jérémy Menez non si ritaglia un solo settore ma fa, del fronte d’attacco, un suo luogo complessivo, una regione de

 Egli avverte quella landa totalmente e in questo sembra che sia ancora in intimità con la fanciullezza; ed è come se la felicità fosse l’infinita giornata, il tempo della vita avvertito sempre favorevole e poi quella giusta "indisciplina" tattica proprio perché tutto è ancora sotto lo stendardo del "gioco", ovvero fuori da ogni pretesa adulta. E cosa c’è di più spensierato, di più elevato, del creare sublime in spazi ampi dove ha un senso profondo l’azione personale, insistita, la giusta imitazione di chi già fu eroe in un campo di calcio? Questa sintonia con la fanciullezza, questa giusta "irresponsabilità" sono ancora dati visibili in Menez e sono proprio essi a promuoverlo fuoriclasse.

Vero infatti è che tale qualifica s’addice non soltanto a chi dispone di colpi e, grazie a questi, s’esibisce in "numeri", ovvero in una sorta di montaggio delle attrazioni, ma anche a chi, ad un certo punto, decide di definire un cambio d’orizzonte alla partita, a mutare scenario alla sfida. E lo decide da solo non perché non confidi negli altri - nelle "equazioni" degli schemi -ma perché sente che è quello il suo destino. Vi è una grandezza in quella solitudine del fuoriclasse: proprio essa sa creare improvvisamente il sublime; una grandezza che andrebbe anche seguita, ascoltata fuori del campo di calcio per poi essere narrata.

E allora di colpo ci immaginiamo come lo scrittore Claudio Magris al Caffè "Tommaseo" di Trieste o come l’altro mitteleuropeo, Joseph Roth, "Al bistrot dopo mezzanotte", nella Vienna degli

anni ’20. Ma torniamo al punto principale in Menez: mutare lo scenario della partita; affrescare d’improvviso un’altra parete fino a farne "il" paradiso della giornata calcistica. E’ la sinuosità in progressione l’arte in cui eccelle il calciatore francese. Il colpo di tacco tra due avversari è un suo gesto frequente e d’una mai sopita avanguardia; certamente ricamo solenne per lui che fugge e alquanto derisorio - comunque ammissibile nel codice dell’arte - per gli avversari.

E se in certi momenti pare lo assalga una certa svogliatezza, riteniamo che quel fastidio scaturisca per quel tanto di solitario e spettacolare che lui fino a quel momento non ha ancora composto.

Ambidestro, geometrico di tiro ma anche lirico al volo, lesto ad incrociare e a gettarsi in cunicoli di nitore delineati da altri strateghi della squadra, Menez "vive" nel fintare l’esterno a favore poi dell’interno e nel colpire quindi a effetto con traiettorie già antiche, di una fanciullezza ancora in servizio. A volte i raduni di "vecchie glorie" servono per un appello sugli assenti. Meravigliosi e al tempo stesso pieni di dolore i raduni: sogno spesso di avvistarvi Gigi Meroni, che è la persona che manca al nostro mondo attuale. Li rivedo tutti, da Lodetti, a Cera, da Agroppi a Suarez da De Sisti a Orlando a Juliano a Savoldi: tutti coetanei di Meroni. Manca soltanto lui ed è un bene che spesso avvengano giocate "antiche" su un campo di calcio perché sono proprio esse a rammentarci e custodire gli assenti. Grazie Menez, per quel tanto di Meroni che mi hai donato.