IL ROMANISTA (C. ZUCCHELLI) - Più che amici, fratelli. Più che compagni di squadra, compagni di vita. Jeremy e Menez e Philippe Mexes, due facce della stessa medaglia fatta di talento francese e spregiudicatezza testaccina. Il primo è arrivato nellestate del 2008 a Roma, dove già da quattro anni viveva il connazionale che, appena venne a sapere dellinteressamento della Roma per il ragazzino del Monaco, decise di prenderlo sotto la sua ala.
per me».
GLI ESORDI Pantaloni corti neri, scarpe da ginnastica, maglietta bianca e immancabile berretto
(una costante, si scoprirà poi, di tutte le sue uscite "in borghese"), atterra a Fiumicino il 28 agosto del 2008 in compagnia del fratello. Accompagnato a Villa Stuart per le visite mediche, pronuncia a malapena un «ciao» e subito inizia il tam tam: «È uno scontroso», «non ride mai», «dicono abbia un caratteraccio». Chiacchiere, perché fin dal primo giorno a Trigoria, Menez colpisce tutti proprio per la sua gentilezza ed educazione. Mexes, che già conosceva per averlo incontrato «qualche volta nei ritiri con la Francia», gli fa da Cicerone nelle prime settimane: lo aiuta a trovare casa, lo porta nei negozi di sua fiducia, in centro come a viale Marconi, nei ristoranti che frequenta di solito, nelle discoteche dove va a rilassarsi dopo le partite. Raggiunto dallallora fidanzata Melissa, conosciuta ai tempi del Monaco e con cui si è lasciato questestate, e dalla famiglia, col passare dei giorni Jeremy si inserisce sempre di più nel gruppo romanista. Con Aquilani esce spesso la sera - insieme alle compagne - con Okaka idem, ogni tanto si vede al Palalottomatica per le partite della Virtus, inizia anche ad andare al cinema per cercare di capire meglio litaliano. Dal «Checcò» con cui chiama Totti nei primi giorni, si passa a frasi e discorsi interi conditi anche da qualche parolaccia, ovviamente non riferibile.
LA NOTTE DEL GILDA A Natale del 2008 torna inFrancia dove laspettano il fratello Kevin, la mamma Pascale e il papà Jean Marc che, pure se non stanno più insieme, sono sempre presenti nella vita del figlio. Jeremy torna nella sua cameretta di Parigi allinterno di un palazzo a due piani e si sfoga: vorrebbe giocare di più, essere più decisivo, dimostrare a tutti quanto vale. La mamma, tra una carezza e laltra, lo rassicura: «Il calcio è fatto così, devi imparare che ci sono alti e bassi e non lasciarti abbattere». Lui inizia a recepire il messaggio e torna a Roma più sereno. Gli amici e la famiglia capiscono il momento e non lo lasciano solo: nel suo villino di Casalpalocco ha spesso compagnia, Jeremy ospita volentieri tutti e sorride ogni giorno di più. La prima domenica di febbraio, nel 2009, la Roma viene dal ko con la Reggina e arriva la prima (e unica, visita dei ladri di qualche giorno fa a parte) notte difficile da quando è nella Capitale: lui e Mexes, insieme a Okaka e qualche altro amico, sono al Gilda. Cè un accenno di rissa, fatto di urla, spintoni e qualche insulto con un gruppo di persone, tifosi della Lazio, finito con unastretta di mano davanti ai Carabinieri per sancire la pace. I giornali ci ricamano sopra, qualche radio anche, si parla di denunce, ricoveri in ospedale e nasi rotti: nulla di tutto questo, ma Jeremy non la prende comunque bene. Bruno Conti, a nome della società, chiede spiegazioni, ma è Philippe a parlare: «Come in tutte le squadre, la domenica sera i giocatori sono liberi, non cè nulla di male se vanno in discoteca».
LA MUSICA La vicenda finisce lì, ma Menez inzia a frequentare di meno il Gilda. Preferisce il Jet Set, nei pressi del laghetto dellEur, dove la serata finisce presto (generalmente a mezzanotte o poco dopo) e dove si trova più a suo agio. Ci va, tanto per fare qualche esempio, dopo il derby vinto lo scorso 18 aprile «è la notte più bella della mia carriera», dice, e anche dopo quello di questanno. Con lui, manco a dirlo, Mexes. La musica, così come la passione per le macchine e per i vestiti che non passano inosservati (Adidas e Vouitton le marche preferite da entrambi), è unaltra delle cose che li unisce, ma mentre il difensore ascolta anche cantanti italiani, per lattaccante esiste praticamente solo il rap. Musica dura, musica vera, musica di chi la vita lha guardata davvero in faccia. I 113 sono il suo gruppo preferito, nellI-pod ha tutti i loro dischi, e se non avesse fatto il calciatore sarebbe stato, con ogni probabilità, un loro collega. O almeno questo era uno dei suoi sogni. Nel marzo scorso, contro lUdinese, i rapper erano allOlimpico a fare il tifo per lui che strabiliò tutti con una prestazione superlativa: «Ma che partita hai fatto - gli disse col sorriso lonnipresente Mexes - da adesso in poi devi giocarle tutte così».
IL POKER È questo lobiettivo del numero 94, che ancora non è soddisfatto delle sue prestazioni. Ranieri laveva detto al forum del Romanista qualche giorno fa, ieri lha ribadito: «È troppo critico con se stesso». Ed è la verità, perché a lui perdere non piace mai, qualsiasi sia lo sport in questione. Cè chi sussurra, però, che a poker, di cui è appassionato, ci sia qualcuno in grado di batterlo a Trigoria. Anzi, due persone: Totti e Cassetti. Le loro sfide, al Bernardini come in aereo, sono autentiche battaglie: giocatori concentrati, non vola una mosca, compagni costretti ad osservare senza poter intervenire o fare battute di alcun tipo. «Il momento - dice chi li conosce bene - è sacro».
CARBONARA E VERDURE Così come sacro è il momento della cucina. Jeremy è rimasto colpito dalla carbonara e alla Villetta, una volta, ne ha mangiati due piatti di fila «praticamente senza respirare». In genere, però, tende a non esagerare,e, in prossimità delle partite, si tiene leggero, preferendo ai carboidrati carne e verdure, di cui pare sia ghiotto. Gli vengono cucinate anche a casa Mexes, dove è spesso ospite e dove si confida praticamente su tutto. Dalle vicende più private a quelle che riguardano il campo. Perché «è grazie a Philou se qui a Roma sono cresciuto tanto». E questo, anche se un giorno le loro strade dovessero separarsi, non cambierà mai. Meglio non pensarci, per ora, e continuare ad abbracciarsi dopo ogni gol. Ça va sans dire.




