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CORSPORT (A. SANTONI) - Si concede una sigaretta, prima di risalire in macchina verso Firenze, nel parcheggio sotterraneo di Marassi. La fuma a grandi boccate. Sono le 10 e mezzo di ieri mattina. Lui è particolarmente pallido, col viso tirato, gli occhi più grandi, anche per quello che hanno visto la sera prima.
« Quanto avrei voluto parlare di calcio... »
mastica Cesare Prandelli. Ma non si può, non in questa occasione. Il ct ha confermato la conferenza stampa di fine ritiro ma la sue parole tracciano un bilancio mai articolato prima da alcun ct in cento anni di storia azzurra. E per un attimo vanno oltre le drammatiche scene di violenza che hanno portato alla sospensione di Italia- Serbia, martedì notte: « Quando ho visto gli ultras che provavano a sfondare la vetrata e la gente che scappava terrorizzata, ho avuto davvero paura. In situazioni del genere, basta poco per trasformare tutto in tragedia. E se non è accaduto niente di più grave dipende dalla natura delle migliaia di persone che erano venute allo stadio: famiglie, bambini. Un pubblico straordinario, che si è comportato in modo esemplare. Fosse stato un incontro di club, con la presenza di due fazioni militarizzate... Riflettiamoci» .
Per lui, cui è toccato vivere dal campo l'ecatombe dell'Heysel, le parole su queste questioni sono pietre, da maneggiare con cautela. Prandelli dunque entra nel merito dell'argomento calcio e violenza con un discorso ampio, separando quello che è accaduto ieri dall'analisi su un universo, quello ultras col quale, secondo il ct, bisogna dialogare: «Si deve saper ascoltare. Si trova tanta solidarietà in quell'ambiente. Guai a criminalizzarli!» .
Ma Italia-Serbia viene prima, ed è stata un'altra storia, una brutta storia. Prandelli ammette: «Sono sincero: noi però volevamo giocare. Ora tutti dite che si sapeva che i loro hooligans avrebbero impedito la partita? Noi no, non sapevamo. Una cosa è chiara: quella è gente che non ha nulla da perdere. Delinquenti. Non so quale tipo di problemi ci siano dietro, se sociali o politici. Cosa direi al loro capo? Gli chiederei se ha figli o fratelli minori e quale futuro prevede per loro» . Ha fatto discutere la scelta di Stankovic e compagni di andare sotto il curvino dei serbi, con gesti d'intesa nazionalistici e applausi. Prandelli sorride: «Siamo stati noi a invitarli a fare qualcosa. Loro erano scossi, impreparati, impauriti. Che scena è stata? Non so, ma è chiaro che sono sotto scacco. Hanno le famiglie, devono tornare in Serbia e rischiano di ritrovarsi quella gente sotto casa. Sono stati costretti ad assecondarli » . Avrebbe potuto raccontare altri particolari, Cesare, in particolare, lo sfogo del povero Stojkovic, letteralmente terrorizzato, rifugiatosi nel loro spogliatoio, durante la prima sospensione. Ma preferisce restare al quadro generale: «Situazioni del genere le abbiamo vissute anche noi, anche se non così gravi. In certe città ci sono pesanti condizionamenti, è inutile negarlo. Bisognerebbe tornare ad essere liberi di parlare e dire quel che pensi. E invece se perde una partita, per un giocatore è difficile uscire la sera a mangiare la pizza con i figli, magari non si dice ma è così. Però qualche anno fa la situazione era peggiore, le parole di Capello non sono cadute nel vuoto, ora si sta lavorando e le misure vanno nella giusta direzione» .
Gli viene facile proporre un modello che conosce bene quello varato dalla Fiorentina, dialogo e tolleranza zero. « Ultras professionisti? Io di stipendiati non ne conosco. Non bisogna aver paura di fronte a questa violenza, né si può immaginare un calcio senza tifoserie organizzate. Certo, sarebbe bello uno stadio tutto di famiglie e bambini. L'esperienza di Firenze insegna: i Della Valle hanno chiarito subito, un gesto di violenza e lasciamo la società. E sono sicuro che lo farebbero. Ma se si parla con i capi tifosi e si capiscono le loro esigenze, sono poi loro i primi a fermare scintille di violenza: e questa è prevenzione. Bisogna lavorare sui tifosi del futuro, oramai il mondo adulto è malato. Intanto, non si può intervenire quando è troppo tardi, pensando di risolvere tutto in pochi secondi » .
Si discute sul comportamento della nostra polizia. Prandelli spiega: «Se ha ritenuto di non intervenire per le strade di Genova, evidentemente era per non danneggiare i cittadini. Il fatto è che non si deve arrivare a quel punto» .