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LA STAMPA (M. NEROZZI) - "Tutto il mondo ci sta guardando", grida lo speaker di Windsor Park poco prima che s'attacchi: si accorgerà, alla fine, che l'Italia non ha più un attacco e soprattutto sono spariti quelli che, nel mestiere, dovrebbero essere specializzati, i centravanti. Cesare Prandelli, da buon ingegnere alle prese con un nuovo progetto, sta testando i pezzi, ma nessuno pare fare al caso suo: Amauri nell'esordio ferragostano
L'ultima notte doveva essere quella di Marco Borriello, ripescato da una Roma in crisi dove comunque lui s'era rilucidato. Niente da fare, con la divisa azzurra addosso, la professione di punta è un lavoraccio: un po' per difetti di mira propri, un po' perché tutte queste cartucce la compagnia non te le offre. Se poi si sparano male quelle poche che si fabbricano, tanti auguri.
Borriello si sbatte, corre, allunga le mani, spinge, e a metà del primo tempo avrebbe pure la palla gol, piazzato davanti al portiere avversario dal lancio di Cassani: scatto e tiro svelto, ma troppo dritto, addosso a Taylor, che con quella divisa rossa era pure un buon bersaglio. Altre chance non avrà, se non una mezza puntata in apertura di ripresa. Bello senz'anima. Ma scorrono così le sere del cacciatore d'area. E va bene che il centravanti moderno deve aiutare la squadra, farla salire, difendere la palla quando la partita è in mezzo alla tempesta, poi però bisognerebbe buttarla dentro.
Borriello lo sa benissimo che la missione è quella lì, se le poche parole concesse alla vigilia di quello parlavano: «Spero di fare gol». Quelle tre lettere sono l'alfa e l'omega dell'attaccante, gli tracciano la vita e le partite. Anzi, del gioco. Vittorie e sconfitte. Quando due settimane fa Milos Krasic segnò una tripletta senza però le grandi giocate da ala mostrare a Udine, Del Neri quasi si mise a ridere: «Se uno mi fa tre gol, per il resto può anche giocare malissimo». Figurarsi per una punta. Poi, va da sè, le responsabilità vanno pure divise, giocando in undici.
Soprattutto allestendo un assetto, un 4-4-2 con variante in 4-3-3, che si vorrebbe offensivo. La latitanza, allora, va allargata ad Antonio Cassano, che dopo aver graffiato l'esordio europeo a Tallinn, è tornato a rimpicciolirsi dentro un'arena dove invece avrebbe dovuto comandare. Non avvistato nel primo tempo, qualcosina da suggeritore nella ripresa: punta sarebbe anche lui. Non fa il miracolo neppure Pazzini, che spreca di testa, sulla coda della partita. Ci riproverà martedì contro la Serbia a Genova, davanti al suo popolo: magari qualcuno sarà profeta in patria.