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IL ROMANISTA (D. GALLI) - «Io non gioco per giocare. Io gioco per vincere». Sè tolto il caschetto («non vorrei giocare così, ma me lha detto il dottore. Lo userò massimo ancora una o due partite, poi basta») e ha messo via palloni e conetti, ha staccato dallallenamento per mettersi davanti a un microfono. Riise danza la sua Haka in conferenza stampa. «Io gioco per vincere. Ma pure gli altri, no?». Ma certo, John. Solo che tu sei sempre ciò che dici. Il Vichingo non gioca solo per giocare. E ha una convinzione: la Roma si è rinforzata.
Quando gli chiedono se il peggio sia passato, se quella con lInter sia stata la partita spartiacque tra la Roma in preda al male oscuro e quella splendidamente cinica che ha affondato i campioni dEuropa, Riise dice di condividere la teoria di Ranieri. E cioè che la Roma era già cambiata al Rigamonti. «Sì, il peggio è alle spalle.
Ma anche con il Brescia - dice John - abbiamo fatto una buona partita. Poi è arrivata la vittoria con lInter, ma adesso guardiamo solo davanti. La prossima partita sarà molto difficile».
Il Cluj, la Champions. «La Coppa Campioni è la competizione più importante. Noi pensiamo una gara alla volta. Domani (oggi, ndr) cè il Cluj, ma io voglio sempre vincere tutte le partite. È un torneo difficile, ma io penso solo a domani». Stasera Riise sarà sempre lì. Presidierà la fascia sinistra. Alta o bassa, mica fa differenza. A quel caschetto che dovrà portare ancora per un paio di gare, John dice di non badarci: «Al dottore ho detto: "se gioco, devo poter fare tutto". Se fossi limitato, non giocherei». Il norvegese non sa se sia ormai un senatore (ma se non lo è lui...). Però possiede una certezza. Lui dà sempre il massimo. «Non so se sono un leader. Io gioco sempre per aiutare la squadra. Certo, ho disputato tante partite internazionali. Ma una partita si gioca in undici e tutti la vincono, non uno solo. Sicuramente ho molta esperienza in partite importanti e, se gioco, anche io sono un leader in campo». Nello spogliatoio, Riise piace anche per questo. Per lumiltà con cui affronta la vita di ogni giorno, dentro e fuori Trigoria. Piace a Totti, di cui ha rispettato e rispetta i gradi di capitano perché prima ancora lo rispetta come persona. È un amicone, sta allo scherzo, gioca alla Play, stravede per la compagna e i figli. Ma dentro al campo nessuna pietà. «Tutti i giocatori - dice - vogliono vincere tutte le partite. Io non gioco per giocare, io gioco per vincere, così come penso anche gli altri. Abbiamo fatto una bella partita contro lInter, e dobbiamo fare unaltra grande partita domani. Dobbiamo correre per novanta minuti». Ma quale Vichingo. Questo è un Maori.