Mexes e Julio Sergio, la notte finisce in lacrime

23/09/2010 alle 09:59.

IL ROMANISTA (C. ZUCCHELLI) - Gli spogliatoi del Rigamonti sono deserti, l’urlo di Mexes è un boato che squarcia il silenzio: «Ho preso la palla e fuori! Cazzo!». E’ un fiume in piena, Philippe. Si slaccia i capelli, allontana Menez che si è già fatto la doccia e cerca di calmarlo, prende a calci qualcosa che gli capita lì per caso, sbatte la porta e si chiude il mondo (il suo mondo, che sembra essergli crollato addosso) dietro le spalle. E piange.

 

E’ la prima volta che Julio Sergio piange, da quando è alla Roma. Solo una volta c’era arrivato vicino, ma erano lacrime di gioia visto che era il 18 aprile e la Lazio era stata appena battuta in rimonta anche grazie a lui. Non era, invece, la prima volta per Mexes: l’ultima era stata il 25 aprile, il pianto dopo Roma-Sampdoria divenne il simbolo dello scudetto sfumato e legò, ancora di più, il giocatore ai suoi tifosi. Ieri sera gli occhi lucidi del difensore francese erano accecati dalla rabbia per un rigore e un’espulsione che riteneva ingiusta: prima se l’è presa col guardalinee, poi col quarto uomo e con la protezione di gomma di una telecamera. Presa a calci, pure quella. Avrebbe distrutto tutto, Philippe, e anche per quello – dopo – piangeva: perché all’espulsione

e al rigore ha aggiunto anche la frustrazione per la reazione avuta in mondovisione. La peggiore da quando indossa la maglia della Roma, secondo qualcuno. La più spontanea, secondo qualcun altro.

 

Il l’aveva visto già altre volte, con quella di ieri sette in sei anni di Serie A. La prima, la più celebre, ci fu però in , il 15 settembre 2004, partita contro la Dinamo Kiev e monetina di Frisk. Da quel momento, solo nel 2006-2007 ha concluso il campionato senza essere espulso e questo deve far riflettere. Ci penserà su Philippe in questi giorni. Quando c’è stato bisogno di ammettere di aver sbagliato l’ha fatto e si è assunto le sue responsabilità, stavolta sarà diverso. Chiederà scusa per la reazione, parlerà con Ranieri, coi dirigenti, coi compagni soprattutto, che non lo lasceranno solo un attimo. Non l’hanno fatto ieri e l’hanno abbracciato. Non lo faranno mai perché Philippe è uno di loro. Bastava vedere certi sguardi al rientro negli spogliatoi per capirlo.