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IL GIORNALE (M. DI DIO) - Due bandiere, due capitani simbolo di attaccamento alla maglia, due 10 che il mondo ci invidia. Alex Del Piero e Francesco Totti sono campioni di razza e nello stesso tempo giocatori-icona nello spogliatoio. Si parla di Pinturicchio e subito la mente corre alle straordinarie imprese con la maglia della Juve, ma anche al sacrificio che Alex fece restando in bianconero nellanno di purgatorio tra i cadetti. Si parla dellex Pupone e non si può non ricordare colui che detiene ogn
Dopo linizio tentennante delle loro squadre e un turno di Coppa non certo esaltante, Alex fa il pompiere, Francesco no. Il rapporto dello juventino con Del Neri, tecnico dal carattere non facile (basta pensare a Cassano, messo fuori rosa dallallenatore friulano sia a Roma che a Genova), è buono. I due si sono scambiati segnali vicendevoli di sintonia. «Mi piace il modo di lavorare del mister», così il capitano della Juve a una settimana dal debutto in campionato. «Del Piero è il mio Diego», la risposta del tecnico. E il 3-3 con il Lech Poznan non porta strascichi polemici del capitano. «Gli errori ci sono, inutile nasconderli, ma bisogna dare la giusta interpretazione a quanto accade in campo in relazione al momento della stagione, al contesto generale, al percorso di crescita che abbiamo intrapreso e che non può interrompersi per una mezza serata storta. E poi abbiamo dimostrato di non arrenderci, oltre a una grande reazione sul 0-2», il messaggio ai naviganti di Pinturicchio.
Ben altra aria tira in riva a Trigoria, dove laccusa di «vecchio catenaccio» lanciata da Totti nel post Bayern-Roma ha inasprito i rapporti, già sfilacciati dopo le sostituzioni del capitano, con il tecnico Ranieri. Ieri il numero dieci giallorosso ha voluto gettare acqua sul fuoco: «Io e il mister parliamo la stessa lingua perché abbiamo entrambi il Dna di romani e romanisti - ha spiegato Totti -. Il dialogo di un calciatore con il proprio tecnico è quotidianità e ancor più se sei il capitano della squadra, indipendentemente dagli andamenti e dai risultati. Chi mi conosce sa bene che quando perdo le partite sono il primo ad essere dispiaciuto, prima come tifoso e poi come calciatore. Vorrei vedere la mia squadra giocare sempre a viso aperto contro tutti per onorare il nome e la grandezza di questa città che rappresentiamo».
Non certo una retromarcia, quella del simbolo romanista, ma una precisazione sul fatto di parlare con il tecnico e magari non condividerne alcune scelte. Resta il fatto che Ranieri sembra quasi diventato il capro espiatorio della crisi giallorossa.