IL ROMANISTA (M. IZZI) - IL CAMPIONATO del mondo che lasciò più strascichi sui calciatori della Roma fu paradossalmente quello del Mondiale di Spagna 1982. Paolo Roberto Falcao visse una delusione così forte e violenta che per alcune settimane meditò se non di lasciare il calcio, quantomeno di non rientrare in Italia, il paese che lo aveva privato del sogno di diventare campione del mondo. Il fuoriclasse brasiliano sbarcò a Fiumicino solo il 9 agosto (la nuova stagione era iniziata per i compagni il 20 luglio), per riunirsi alla squadra solo il giorno 11.
forte e violenta che per alcune settimane meditò se non di lasciare il calcio, quantomeno di non rientrare in Italia, il paese che lo aveva privato del sogno di diventare campione del mondo. Il fuoriclasse brasiliano sbarcò a Fiumicino solo il 9 agosto (la nuova stagione era iniziata per i compagni il 20 luglio), per riunirsi alla squadra solo il giorno 11. Le condizioni psicologiche erano quelle di un uomo spossato. Ai giornalisti che gli chiedevano quale fosse la sua condizione fisica, aveva risposto seccamente: «Zero», con una mancanza di diplomazia che non era assolutamente consueta per lui. Se la condizione del deluso Falcao era allarmante, certamente non era migliore il quadro presentato dal trionfatore Bruno Conti. Alla distanza, se mai, la voglia di rivalsa permetterà a Falcao di scrollarsi di dosso le tossine mundial con mesi danticipo rispetto al campionissimo di Nettuno. Il grosso problema per Conti era stato che dopo la vittoria nella finalissima dell11 luglio era stato semplicemente derubato della propria vita privata. Fatti salvi 11 giorni in cui era riuscito a
nascondersi a Villasimius, in una villa di amici vicinoCagliari, non aveva avuto più un secondo di tregua. Particolarmente scioccante, era stato per lui il rientro a Nettuno. Quando provò a fare un salto in spiaggia come era abituato da sempre, era dovuto letteralmente fuggire per sottrarsi allaffetto della gente. Un abbraccio che era diventato soffocante, fino a trasformarsi in una prigione claustrofobica, che limitava la libertà di un uomo come Bruno, che soffriva immensamente la cosa. Decisiva sarà, da questo punto di vista, la gestione di Liedholm che punterà su un recupero graduale di Bruno, che per i primi cinque giorni di ritiro ebbe disposizione di limitare la preparazione a semplici passeggiate nel bosco.
Limpatto con il dopo Mondiale sarà diverso per Cafu. Il Pendolino quando alzò la Coppa del mondo da capitano, nel 2002, aveva già alle spalle due finali (con la vittoria del 1994). Labitudine a quel genere di tensioni lo aiutò ad ammortizzare il minicarnevale che si scatenò una volta rientrato in patria, con, come ricordava lo stesso Cafu: «tutte quelle feste dopo, da una città allaltra, con tanta gente che parla, politici, attori, amici». La stagione non esaltante del bicampione del mondo, sostanzialmente, si consumò più che altro in ossequio alla decisone di abbandonare la capitale che stava maturando.
Per alcuni calciatori giallo-rossi, poi, lavventura mondiale e la sua conclusione positiva, si sono trasformati in maturazione e definitiva presa di coscienza dei propri mezzi. E il caso, ad esempio, di Aldair e Perrotta. Il brasiliano, che nella stagione 93/94 (anche complici gli astrusi regolamenti e gli infortuni), aveva conosciuto più la tribuna che il campo, comprese di essere nel ruolo il numero uno al mondo. Solo un colloquio chiarificatore con il presidente Franco Sensi, consumatosi a Visso, lo convinse a rimanere a Roma. Per quanto riguarda Perrotta, uno dei tre romanisti, assieme a De Rossi e Totti ad aver vissuto la strabiliante spedizione di Germania 2006, quellavventura segnerà una svolta decisiva: «Adesso posso dire che ho preso
coscienza diceva Simone in unintervista alla rivista ufficiale della Società nel novembre 2006 di quanto accaduto. Nel senso che sento la responsabilità e il peso di essere Campione del Mondo quando gioco in tutti i campi. E una sensazione che ti porti dentro e fuori il rettangolo di gioco. Da un altro punto di vista sento anche un maggiore rispetto nei miei confronti».
I Mondiali, però, per dirla alla Catalano, si perdono più facilmente di quanto si vincano e campioni come Galli, Amadei, Liedholm, Losi, De Sisti, Giannini, Batistuta, hanno compiuto il viaggio iridato vedendo le proprie speranze venire amaramente frustrate. Da questo punto, si può abbastanza facilmente osservare che un mondiale andato storto (o peggio ancora sfumato quando sembrava ormai a portata di mano), può lasciare il segno. Nonostante questo, il dopo mondiale di Giuseppe Giannini (con due finali conquistate dalla Roma), segnò uno dei vertici più luminosi della sua carriera e allo stesso modo, occorre dire che dopo la sconfitta
di Messico 70, Picchio De Sisti regalò ancora al calcio italiano quasi un decennio della sua sapienza
tecnico-tattica.
Cè chi, poi, come Vincent Candela dovette assistere a un mondiale vinto quasi completamente da spettatore. Ritirando la Legion donore disse semplicemente: «Non potrò dimenticarlo mai, è una gioia unica». «E adesso?». «Adesso voglio vincere con la Roma».