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Giampaolo Montali, ex uomo volley - ct, allenatore di club «e praticamente, manager all´inglese, mi occupavo di tutto» - da 5 anni nel pallone, prima alla Juve e da 10 mesi alla Roma. Che idea si è fatto del calcio e della sua crisi? «Che non è diverso dagli altri sport: c´è passione e impegno, un
Che idea si è fatto del calcio e della sua crisi?
«Che non è diverso dagli altri sport: c´è passione e impegno, un po´ di diffidenza verso l´esterno, questo sì, una costante ricerca dell´isolamento, che poi provoca qualche problema all´interno, ma non è diverso. Alla Juve ho avuto la fortuna di entrare nel momento di cambiamenti importanti: nuova società, nuovo stadio, nuovo settore giovanile. Alla Roma ho trovato un ambiente competitivo, di qualità: sono stato fortunato. In ogni caso sono entrato in punta di piedi, non ho verità assolute e non voglio dare lezioni a nessuno».
Il fallimento dell´Italia porta grossi contraccolpi?
«Io questo lo trovo deprimente, se l´Italia sbaglia non è che sia tutto nero, anche se l´azzurro è una cartina al tornasole del movimento. Ma 4 anni fa la situazione era la stessa. Singolare che nel calcio si corra ai ripari solo dopo una sconfitta importante».
È il momento in cui si fanno i conti.
«Nel calcio, e nello sport in genere diciamo, non esiste cultura del cambiamento. C´è paura, di perdere privilegi, posizioni. Il cambiamento, invece, andrebbe preso per un´opportunità. Le persone dovrebbero aver paura di rimanere uguali».
È stato ct e allenatore di club: situazioni incompatibili?
«Chiediamo sempre a tutti di fare squadra, ma poi bisogna farlo per davvero, anticipare i momenti critici. Se io vinco con un club, ho il dovere di cambiare se penso che questa sia la strada migliore».
Un consiglio pratico?
«Coinvolgere di più i tecnici, gli allenatori. Io gente come Mourinho, Ancelotti, Capello, Ranieri, Wenger starei ad ascoltarla sempre, scopriremmo cose straordinarie dal punto di vista tecnico e non solo. Sono manager, gente che ha esperienza, che ha dimostrato coi fatti di saperci fare, che ha idee. Metterei loro al centro del movimento e partirei da loro».
Darebbe la scossa?
«Secondo me sì. E farei entrare nella gestione dei club e del calcio in genere anche del "coaching indipendente": dirigenti freschi, che non stanno dentro da troppo, che fanno una fotografia della situazione e che agiscono nell´area sportiva, in quella finanziaria, nella progettualità. Ma la diversità, temo, non è mai vista troppo bene...».
Altro?
«Gli stadi ovviamente. Lo stadio di proprietà innalza il valore e impone un cambio culturale: è la casa del club e dei suoi tifosi. Ed è un bel motore se una percentuale del suo rendimento la destini al settore giovanile e un´altra allo scouting».
Passare dalla Juve alla Roma sollecita più inventiva?
«Beh, sì. Se scegli il "calcio sostenibile" perché non hai altre strade qualche idea te la fai venire per forza, devi essere più bravo. Con l´acqua alla gola si tira fuori il meglio. In Italia, a piccolo livello, abbiamo club bravissimi a fare questo: Catania, Bari, Udinese... Anche l´Inter ormai si sta incamminando su questa strada».
L´Inter ha speso centinaia di milioni in questi anni.
«Non mi scandalizzo. Rispetto chi impegna il proprio patrimonio per far vincere il suo club, lo trovo nobile. Ma per gli altri non è possibile: la sfida è vincere col bilancio in parità».
La nuova proprietà della Roma confermerà questo indirizzo?
«La soluzione Platini è questa no? Tutti si dovranno adeguare».
Abbiamo un calcio vecchio, che non lancia giovani.
«Il settore giovanile è alla base di un club, quello della Roma che ha lanciato Totti, De Rossi, Aquilani etc è l´orgoglio del club. Ma bisogna utilizzare i giovani con continuità. Sui giovani sono darwiniano: se il giovane va bene deve giocare, ma se non va, no. Il problema è connesso agli stranieri. Penso che non si debbano perdere i grandi stranieri che fanno scuola, movimento e vicino ai quali crescono i tuoi campioni. Il problema è lo straniero normale, mediocre, che toglie il posto a giovani del suo stesso livello, se non migliori».
Il modello Spagna?
«Sono contro le mode, non mi piace. Noi abbiamo stili diversi, e una forte identità che conta quanto quella spagnola: sono stato ct di una nazionale con cui ho vinto e posso dirlo. Dobbiamo cercare la nostra strada: il problema è che non ci accorgiamo dei nostri difetti, smettiamo di cercarli e di correggerli appena si vince. Ma non scimmiotterei nessuno».
Il calcio fa solo quello che dice la tv.
«Ma no, io ringrazio la tv per gli investimenti sul calcio. Correggiamo gli eccessi col buon senso».
Lega e Federcalcio servono a far funzionare meglio il calcio o sono centri di potere?
«In tutti gli sport serve qualcuno che faccia regole e che le faccia rispettare. In Italia a molti, anche a me, è capitato di vincere con questo sistema. Ma bisogna fare squadra, nello sport funziona così».