I perdenti d’Africa e i due orologi

04/07/2010 alle 03:17.

IL ROMANISTA (S.ROMITA) - Diego Armando, un orologio per polso e non c’è più tempo. Un gesto, un’azione, un colpo di testa a freddo al terzo minuto di gioco ti cambiano la vita. Come per il brasiliano Julio Cesar: la sua uscita a volo di rondine non ha fatto primavera e nell’improvviso inverno carioca sono sbocciati i tulipani.

L’eroe dell’Uruguay che con un colpo di polpastrelli si è sostituito al proprio dando alla sua nazione un’altra chance. Un sogno supplementare per lui. Un incubo per Gyan che quella mano non dimenticherà mai più. La sottile linea che c’è tra il caricarsi troppo e l’essere troppo responsabilizzati al punto da finire per credere veramente di essere il migliore giocatore del mondo, è stata varcata in Sudafrica da . Persosi nei suoi dribbling, convintosi di poter fare da solo il miracolo (non è riuscito nè Pelè, nè a Cruyff), il genio biancoceleste ha nascosto il suo talento. Pelè, Cruyff hanno avuto una squadra intorno, con ruoli e compiti precisi. Come la nuova Germania. Ma il pallone è strano. E anche un pallone come lo jabulani lo è. Può far piangere anche Low e il "suo" Klose e farli piegare su se stessi mentre gli ultimi giallorossi rimasti ai mondiali si stordiscono nel tifo spagnolo amico e il paraguayano Cardozo, mangiatosi il rigore, si batte il petto. Solo noi, solo Lippi, non siamo stati neanche all’altezza della sconfitta. Perché per perdere realmente bisogna essersi in gioco sul serio. E noi non abbiamo fatto neanche quello.