La mano di Dio in panchina

15/06/2010 alle 11:59.

IL ROMANISTA (D.PASTORIN) - C’E’ QUALCOSA DI nuovo oggi nel sole, anzi d’antico. Mi ispiro a Giovanni Pascoli per raccontare il vero, grande, immenso protagonista di questo mondiale sudafricano, campione ieri e allenatore oggi, sempre in prima pagina. Diego Armando Maradona. Era uno spettacolo ammirarlo in campo: poesia allo stato puro, intensa e

Per me è stato uno dei più straordinari artisti del Novecento, un figlio di Borges. Ed è un divertimento vederlo in panchina: nel suo vestito da sposo, gli orecchini, la barbetta curata, il rosario tra le mani.

Agitarsi, chiedere scusa, dare via a un repertorio di smorfie che nemmeno Jerry Lewis all’apice della gloria poteva stargli alla pari, gioire, imprecare, mettersi le mani nei capelli per uno svarione del non troppo amato Milito, consolare , applaudire, alzarsi, correre, chinarsi, cercare con lo sguardo le persone care, non far caso al ronzio delle micidiali vuvuzelas, parlottare con il fido Veron, frenare la tentazione di prendere il pallone e di partire veloce, proprio come al mundial messicano del 1986, quando, sì, segnò con la mano, ma anche con undici tocchi d’autore, lasciando senza fiato la retroguardia inglese. Maradona è l’imperfezione che si è fatta perfezione, è l’asso rinato mille volte, provocatore e santo, peccatore e profeta, miseria e nobiltà.

E noi, come ieri, siamo qui a dirgli: grazie, per esserci ancora in questo football che racchiude tutte le banalità del possibile. Lui no, lui non sarà mai pronto per il recinto delle buone cose: lui è l’Assoluto del Calcio, anzi è il Calcio. Il verbo e la parola, la grammatica e l’algebra. Impossibile non stare dalla sua parte, non provare quel sentimento che sta in mezzo alla tenerezza e alla ammirazione. Ricordate? Lo avevano dato per perduto, confuso, smarrito. Invece: eccolo qui, di nuovo a un mondiale, a mettere in secondo piano , Rooney, Cristiano Ronaldo, Kakà, e tutti gli altri