L’ambasciatore di Svezia si mosse per Selmosson

29/06/2010 alle 04:50.

IL ROMANISTA (M.IZZI) - Quasi sistematicamente si è affermato che Fulvio Bernardini ha cominciato la sua carriera nella Lazio. In realtà, il divino Fulvio tirò i suoi primi calci come portiere, nell’Alberata di Villa Borghese per poi passare, nel 1918, all’Esquilia. Nell’estate del 1919, dopo aver inutilmente cercato di ottenere un provino in Fortitudo, venne reclutato dai boys della Lazio.

 
Nel 1935, effettivamente arriva Piero Pastore, ma anche questo passaggio non era stato diretto (aveva infatti disputato tre gare nel Perugia dopo aver abbandonato la Lazio) e si era reso indispensabile dopo la fuga in Argentina del trio Guaita-Scopelli-Stagnaro. Del resto, la sua parentesi al servizio della Lupa sarà del tutto marginale e di Pastore si sentirà parlare più che altro per la comparsa in pellicole come Vacanze romane e Signori si nasce. Per aprire una stagione di mercato anche agli ex laziali, occorrerà attendere lo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel giro di pochi mesi approdano in giallorosso Blason, Dagianti, e il tecnico Kertesz, poi nel 1948 lo spietato Ferri. Fuorché per Ferri, il passaggio non sarà mai diretto. Vittorio Dagianti che avrebbe dovuto avere questo destino, venne infatti girato alla Salernitana, per “lavare l’onta” e renderlo presentabile ai tifosi. Abbiamo accennato ad Alessandro Ferri, il primo vero “caso Manfredonia” della storia della Roma. In biancoceleste aveva giocato dieci anni, collezionando 129 presenze, rischiando di far chiudere la carriera ad Amadei con un’entrata assassina e partecipando alla profanazione di campo Testaccio nella stagione 38/39. Il suo rendimento nei due anni seguenti fu ineccepibile, ma francamente, risulta difficile comprendere le motivazioni che spinsero la dirigenza dell’epoca a tesserarlo. A questo punto facciamo un salto di dieci anni e arriviamo al 10 luglio 1958. In un ristorante di Via Borgognona, per 135 milioni, Arne Selmosson viene ceduto dalla Lazio alla Roma in quella che a distanza di oltre mezzo secolo rimane, sul versante Lazio, la più grande operazione in “entrata” mai realizzata dalla Lupa.
 
Nelle ore frenetiche che sanciranno l’ufficializzazione della trattativa, persino l’ambasciata svedese verrà allertata, mentre i dirigenti della Lazio saranno sotto scorta dalla “Celere”. Al primo gol rifilato alla Lazio in un derby, Selmosson non esulterà per rispetto ai suoi antichi tifosi, ben altro, sarà il tripudio della gente giallorossa. Nel 1964 la Roma che alza al cielo la prima Coppa Italia della sua storia è guidata da Lorenzo, ex laziale, che faticò non poco a strappare se stesso e la squadra alla sua maniacale scaramanzia. La Roma di Lorenzo è anche un club che vive momenti di grande difficoltà economica, forse anche per questo, un certo Giorgio Chinaglia provinato poco tempo dopo non verrà opzionato. Le comunicazioni con il sodalizio biancoceleste tornano a divenire un campo minato negli Anni 70. Franco Cordova proverà a forzare l’embargo proponendo a Dino Viola un suo clamoroso ritorno, ma senza successo. L’operazione riesce invece a Carlo Perrone, che proprio sfruttando una conoscenza familiare con il presidente Viola riesce, nella stagione 81/82, a disputare una stagione in prestito alla corte di Liedholm. Le malelingue dicono che Perrone si presentò in ritiro con i pantaloncini della Lazio, ma l’interessato su nostra precisa domanda ha smentito. Già in quei mesi, secondo diverse fonti, Viola aveva concluso anche l’acquisto di Giordano e Manfredonia (mentre nel 1983 Clagluna affiancherà Eriksson), più tardi ratificato dalla presidenza Chinaglia. Quell’acquisto, alla resa dei conti, non passò dalla carta alla realtà, e solo Manfredonia, nel 1987 (via ), vestirà la casacca giallorossa generando un autentico terremoto nella tifoseria. La cicatrice sarà così profonda che a parte Di Biagio e Fuser, giunti però alla Roma solo dopo anni dalla fine della propria militanza nella Lazio, l’appartenenza al club biancoceleste si è sempre rivelato un ostacolo insuperabile.