Aldo Biscardi: «Studiate l’Inno Italiano»

07/06/2010 alle 06:38.

IL ROMANISTA (M.MACEDONIO) - «Una voce “stonante”. Una brutta voce». E’ una furia, al telefono, Aldo Biscardi. Non ci sta e lo dice forte. Nel suo inconfondibile accento molisano, non esita a definirla così, l’infelice uscita di Claudio Marchisio, il centrocampista della Juventus e della Nazionale, nella bufera per la sua versione “scorretta” dell’inno nazionale nei minuti che hanno preceduto il fischio d’inizio di Svizzera-Italia, sabato scorso.

Ci tengo a ricordare che io, per primo, insieme al presidente Ciampi, mi battei, a suo tempo, per far sì che l’inno di Mameli tornasse ad essere cantato a piena voce dagli azzurri in campo. Possibilmente con la mano sul petto. Una battaglia forte, quella che facemmo anche attraverso la mia trasmissione, perché erano tempi in cui, quando veniva eseguito, i giocatori non se ne curavano più di tanto. C’era chi fingeva di cantarlo o, addirittura, era distratto da altro. E questo mi faceva star male. Molti di loro non ne conoscevano nemmeno il testo. Per non dire della musica...». Tra i pochi che perlomeno ci provavano, in quei primi anni del nuovo millen- nio, si ricorda Gianluigi Buffon, mentre ad occhi chiusi mormorava parole incomprensibili, come fosse una preghiera. Erano gli anni, i primi della presidenza di Carlo Azeglio Ciampi, in cui l’Inno, con i suoi versi, anche quelli più ostici, da “stringiamci a coorte” o “fummo calpesti”, finirono stampati su migliaia di pieghevoli che il Quirinale distribuiva tra le scolaresche, di casa sul Colle fin dai tempi di Pertini. Con Aldo Biscardi che sposò quella “linea pedagogica” e non esitò a battersi in tv per convertire i giocatori azzurri alle gioie del canto patriottico. E’ il Biscardi che risentiamo battagliero al pensiero di come si assista spesso ad atteggiamenti di ingiustificata leggerezza, quando invece le occasioni richiederebbero ben altra serietà nei comportamenti.

«Ricordo – aggiunge - l’impegno che mettemmo io e il presidente Ciampi, in quella campagna, perché i calciatori finalmente lo studiassero, l’inno, e avessero, di conseguenza, un atteggiamento consono al proprio ruolo, ovvero di chi rappresenta la nazione, magari all’estero, nel momento in cui le squadre si schierano al centro del campo per ascoltare quello che è, insieme alla bandiera, uno dei simboli della nostra unità nazionale». Non vuole essere trascinato sul piano della polemica politica, uno dei commentatori televisivi di maggior presa sull’opinione pubblica, nell’ambito dello sport, da oltre trent’anni. Ma è chiaro che non possa anche lui misconoscere che, se è giusto richiamare qualsiasi giocatore – come è accaduto a , cui è stato ricordato, a fronte di alcune sue valutazioni sulla tessera del tifoso (peraltro non dissimili da quelle pronunciate dallo stesso Michel Platini), di essere un rappresentante della nazione nel momento in cui veste la maglia azzurra – allo stesso modo meriterebbe una censura (e c’è chi ne vorrebbe addirittura l’espulsione dalla comitiva in partenza per il Sudafrica) Claudio Marchisio, per la sua così poco edificante performance canora. Lo ribadisce anche Biscardi. «Torno a dire che se è vera, la libera “interpretazione” che dell’inno ha fatto il giocatore, ebbene, la sua è davvero una voce stonante in mezzo al coro. Una brutta voce. Che non mi piace per niente».