IL ROMANISTA - Quando diciamo a Gianfranco Zigoni che siamo del "Romanista", immediatamente cambia il tono della voce. «Quando sento nominare Roma mi dice mi si apre il cuore. Sono stati gli anni più belli della mia vita, quelli trascorsi là. Come anche a Verona. Perché sono le uniche due città alle quali sono rimasto davvero legato». Cerano già stati i quattro anni a Torino, con la maglia bianconera. «Per carità, non ho niente contro la Juventus, ma a Roma mi sono trovato veramente bene. E lamerò per sempre».
Cerano già stati i quattro anni a Torino, con la maglia bianconera. «Per carità, non ho niente contro la Juventus, ma a Roma mi sono trovato veramente bene. E lamerò per sempre».
Domenica, si gioca Chievo-Roma. Immaginiamo che tiferà Roma. «Manco a dirlo. Dopotutto, tra Chievo e Verona cè una rivalità storica. Poco fa mi hanno chiamato da una televisione veronese. E là, purtroppo, si vive
una tristezza infinita, dal momento che la squadra in cui giocavo non è riuscita a salire in B. Ma, siccome
dopo il temporale cè sempre il sole, mi son detto, tra me e me, magari domenica avrò una grande gioia. Quella di vedere la Roma vincere. Sarebbe troppo bello! In verità, ci credo poco. Ma proprio perché ci credo poco, sarebbe ancor più bello se si realizzasse».
Andrà allo stadio, lei che vive in provincia di Treviso? «In questo momento sono a Milano, perché mio figlio, che gioca nel Milan e in questi giorni sarebbe dovuto andare in nazionale, purtroppo è a casa con linfluenza. E, non sapendo quando torneremo, la partita la vedrò sicuramente in televisione. Comunque, di Chievo-Roma, come anche di Udinese-Roma, ne ho viste tante. Ogni volta che la Roma gioca da queste parti, vado a vederla. E fortunatamente, lho vista vincere più di una volta...».
Un legame che, a distanza di anni, sembra essere rimasto immutato. «Mi creda: ho pianto il giorno che sono andato via da Roma. Non me lo sarei mai aspettato. Stavo bene, mi stavo riprendendo dopo gli anni alla Juve. Fu Helenio Herrera, pace allanima sua, che volle darmi via per uno scambio con il Verona e dovetti quindi accettare il trasferimento. Anche se Verona mi ha accolto benissimo ed ho anche lei nel cuore. Anche lì, la
gente mi ha voluto bene da subito. E il tifo, almeno in quegli anni, mi ricordava un po quello della Roma... Anche la Valpolicella mi ricordava i Castelli Romani. Con la differenza che ai Castelli bevevo il vino bianco, mentre in Veneto lamarone. Perché anche il vino, quandè buono, non guasta...».
Cosè che non le era piaciuto a Torino? La freddezza dellambiente?
«Ero giovane. Avevo ventidue anni quando, dopo due stagioni al Genoa e quelle precedenti nelle giovanili bianconere, tornai alla Juve. Vincemmo anche il campionato in quel primo anno, ma - anche se era una grandissima società - sentivo che non era il mio ambiente. Troppo freddo. A Roma, invece, ho trovato un
calore straordinario. Nei tifosi, ma anche nella città. Già quando ti alzi al mattino, è tutto bellissimo. E poi, io credo molto nei colori. Vuoi mettere il giallo e il rosso, così caldi, con il bianco e il nero? Il bianco non è neanche un colore. Il nero sa di lutto...».
Le sue simpatie da bambino a chi andavano?
«Io sono un tipo un po strano. Da piccolo facevo il tifo per il Toro, per via di Superga, laereo caduto... Nello stesso tempo, provavo una grande ammirazione per Skoglund, che giocava nellInter, mentre nella Juve mi piaceva Sivori. E nel Milan Nordhal. Tutti grandi campioni. Milan e Inter mi stavano però più simpatiche
della Juventus. Fatalità, sono andato a giocare proprio nella Juve».
LInter di oggi può essere, secondo te, la Juventus di quegli anni? Ovvero, una squadra il cui strapotere la fa talvolta apparire arrogante, anche oltre il dovuto?
«Le dirò: mi piacerebbe che a vincere sempre fosse la Roma. Quanto allInter, non mi era neanche antipatica. Lo è diventata, per me, con questultima finale di Coppa Italia. Mi sarebbe stata più simpatica se lavesse
persa. Mi è dispiaciuto soprattutto che siano andati a giocarla con quella cattiveria. Per giunta, dopo quello che
era successo pochi giorni prima, in Lazio-Inter».
Che impressione si è fatto di quellepisodio?
«Ne ho parlato a lungo, anche con tanti amici e tifosi. E le giuro, non riesco proprio a capire. E a immedesimarmi in uno che entra in campo e non si impegna. A me, in ventanni carriera come calciatore, non è mai successo di regalare niente a nessuno. Anche ora, se gioco, io voglio vincere. Anche in allenamento. Sennò, ci resto male
Per quale motivo non devo impegnarmi? Vuol dire non avere dignità, anche come uomo. Se non devo giocare, tanto vale che non entri nemmeno in campo. Ricordo una partita, quando ero a fine carriera: io giocavo nel Brescia, mentre nel Cesena, che incontrammo quella volta, giocavano molti miei amici, che erano stati con me a Verona. Da Petrini a Maddè, fino allallenatore, Cadè. Loro avevano bisogno di vincere a tutti i costi. Noi non avevamo nulla da chiedere. Io, dopo 8 minuti, gli feci gol. A degli amici! Alla fine, è vero, abbiamo perso 3-1, ma io non ho regalato niente. Perché il calcio è questo.
E se tu aiuti uno, fatalmente danneggi un altro. E non è leale, non è sportivo. Non è morale. Lo dico perché spero che il Siena giochi e si impegni contro lInter. Purtroppo, lo farà anche il Chievo, come è giusto che sia. Anche se, magari è solo una speranza, credo che sarà più difficile per lInter. Mi sento questo. Magari avverrà
tutto il contrario, ma io mi auguro che, stavolta, sia davvero una fatal Siena».
A proposito di questo, lei si trovò a giocare, nel 73, la prima delle due fatal Verona contro il Milan.
«A casa ho un giornale che ancora mi inorgoglisce. In cui il presidente della Lazio, Lenzini, e lallenatore della Juve, Vycpalek, le cui squadre erano entrambe in lotta con il Milan, si auguravano un mio gol. Speriamo che quel ragazzo ci faccia un miracolo dicevano, riferendosi a me».
Lei non segnò, ma ci mise comunque lo zampino.
«Il nostro primo gol nacque grazie a due romanisti. Dunque: nei primi diciassette minuti giocò solo il Milan. A quel punto gridai ai compagni datemi la palla. Partii da metà campo, saltai tutti i giocatori rossoneri e detti il pallone a Sirena, il terzino, anche lui un ex della Roma. Glielo misi sulla testa e lui segnò. Da quel momento, il Milan scomparve. A fine partita non ero ovviamente felice, perché vedevo la tristezza negli occhi degli avversari. Ma sapevo di potermi dire a posto con la mia coscienza. E per questo che, quando vedo partite come Lazio-Inter, rimango allibito...».
In conclusione, si dice che Verona sia la città romantica per eccellenza. Dunque...
«Se è vero, come è vero, che è la città dellamore, allora, domenica non può che vincere la Roma».