Clicky

Io, Totti e la dittatura della comunicazione

08/05/2010 alle 12:02.

IL MESSAGGERO (P. LIGUORI) - È già processo sommario, come si usa nella dittatura della comunicazione è totale. Mi sta bene, accetto volentieri di andarmi a sedere sul banco degli imputati, al fianco del mio capitano Francesco Totti. Poche volte da me amato, quanto nella finale di Coppa.

Confesso: per qualche ora sono quasi riusciti a farmi vergognare della gioia spontanea, incontenibile, che Francesco aveva tirato fuori dal profondo del mio cuore. La forza della banalità buonista, del politicamente corretto, del moralismo conclamato è immensa. Ha quasi sconfitto cuore e ragione insieme. Quasi.

Ma poiché detesto e combatto la violenza mi sono interrogato di nuovo sul perché mi era piaciuto quel ruggente. Facile: avevo temuto in questi mesi che gli eccessi da smart phone lo avessero rammollito. Piacere a tutti, può diventare anche una malattia per un campione. Per fortuna, sbagliavo.

In un istante, ho capito che è sempre un grande giocatore di pallone, un uomo e un grande capitano. Ci voleva proprio un condottiero, per assumersi la responsabilità di un gesto semplice, tipico del gioco, senza gravi conseguenze, a nome di decine di migliaia che lo aspettavano da una settimana. A partita finita, era legittima una risposta simbolica dall’Olimpico, che aveva visto in tre giorni passare la stessa squadra dalla farsa all’insulto. Mica una risposta drammatica.

Forse, sarebbe stato appena più elegante ed ecumenico un calcio nel sedere. Una risposta da uomini, con il sangue che viaggia alla velocità dell’adrenalina: lo ha fatto , lo avevano fatto in precedenza Zidane ed altri. Restano campioni.