Adriano e Daniele. Tessere e stadi

30/05/2010 alle 11:22.

IL ROMANISTA (C. FOTIA) Qualche considerazione sulla settimana appena trascorsa, ricca di spunti per riflessioni e polemiche. I soliti soloni incipriati che dedicano la loro altrimenti inutile esistenza a polemizzare con la Roma e in particolare con la presidente Rosella Sensi, schiumano rabbia impotente perché il primo vero colpo di mercato

 

Un ragazzo non ancora trentenne dalle qualità straordinarie che s’era perduto e ora vuol ritrovarsi; un’infanzia nelle favelas fatte di povertà, fame, morte, dove però senti il calore dell’affetto e dell’amicizia vera e poi l’ascesa, il successo di un giocatore che sembrava essere (ed era) il più forte del mondo in quel ruolo. Poi la troppa luce che ti acceca e quel dolore immenso che arriva all’improvviso, con la morte di tuo padre, amico e guida sicura, e ti senti lontano da tutto: dalla casa, dagli affetti, dai valori. E allora ingurgiti tutto quello che vuoi perché con i soldi e la fama puoi comprare tutto. E ti perdi, nelle notti di alcool e di donne. E capisci che in quella à che sembra saper ragionare solo con il denaro, in quella squadra che sembra potersi comprare tutto e tutti non ti saresti ritrovato mai. Allora torni alle strade piene di polvere ma anche di valori veri, ritrovi affetti, senti calore e comunità. E ricominci, un gol dietro l’altro, a tornare quel che eri: un calciatore che non ha eguali nel mondo perché nessuno ha il tuo mix di potenza e tecnica: un Hulk con i piedi di velluto.

Ah sì, mio Dio! Di scommesse così vorrei farne cento al giorno, e sono orgoglioso che Adriano, fuggito da una à e da una squadra costruite come gelide macchine di geometrica potenza, possa ritrovarsi a Roma e nella Roma. Lì aveva tutto in termini materiali, qui troverà tanti cuori che batteranno con lui, soffriranno se lo vedranno tentennare, gioiranno quando lo vedranno esplodere nella sua forza inarrestabile. «Sono venuto qui per dimostrare che chi cade può rialzarsi», ha detto Adriano, e non poteva trovare parole più belle per farci capire perché possiamo ancora amare questo calcio "vecchie maniere" e la squadra che più d’ogni altra l’incarna.

Da un ragazzo a un altro. L’età è più o meno la stessa, le storie e i comportamenti diversi, opposti direi. Adriano ha trasformato il suo dolore in una sfida autodistruttiva. , colpito con violenza nei suoi affetti più cari, reagisce con un tormento interiore che sembra spingerlo a una malinconia disciplina. partecipe delle ingiustizie che patiscono gli altri, in questo periodo, Daniele non ha paura delle parole, anche quando sa che possono far male. Le dice forse perché, in questo momento della sua vita, l’ipocrisia gli appare come l’inutile orpello dei deboli di spirito. E lui ha bisogno di tutta la sua forza, non quella fisica che non è mai venuta meno, ma quella interiore, morale, per restare qui dove vogliono che rimanga il suo presidente, il suo allenatore, la gente che lo adora. Io voglio restare, ma…e in quel ma c’è tutta una vita, con i suoi dolori, le sue sfide, le sue scelte. Daniele qui soffre - lo si vede a occhio nudo - ma sa che lontano da qui non sarebbe mai più lui. Daniele, però, ha detto anche altre cose, ha parlato della tessera del tifoso e di quella della polizia. Parole di verità, perché uno dei cardini delle società democratiche è che il cittadino, anche quando commette un reato, deve sentirsi “sacro” se viene preso in custodia dalla polizia, cui noi affidiamo l’uso legittimo della forza per difenderci tutti dalla violenza e dal crimine.

Dunque, proprio per questo, l’opinione pubblica non può tollerare comportamenti violenti e illegali da parte delle forze dell’ordine. Se li denunciamo è anche per difendere le migliaia di poliziotti e carabinieri che fanno ogni giorno il loro dovere, per quattro lire e a rischio della vita.

Io credo che Daniele volesse dire questo, quando ha detto che, se c’è la tessera del tifoso, ci dovrebbe essere anche quella del poliziotto. Può darsi che l’abbia detto in modo troppo semplificato, ma ha perfettamente ragione. Tutti noi che abbiamo a che fare con il mondo del calcio dobbiamo sforzarci di indurre comportamenti virtuosi, ognuno per la parte che ci compete: nei calciatori, nei tifosi, nelle forze dell’ordine. Per questo la reazione del ministro Maroni ci è parsa francamente esagerata e provocatoria, quasi un ricatto: tu mi offendi? E io ti dico che non vi proteggo più e addirittura faccio balenare scenari foschi alla ripresa del campionato. Sarà un caso, ma nello stesso giorno, alcuni appartenenti delle forze dell’ordine hanno maltrattato due colleghi molto noti nell’etere romano aposfostrandoli così: romanisti di merda!

Non è che, ce lo lasci dire signor Ministro, ogni scusa è buona per attaccare Roma e la Roma? Non è che, dal momento che la contestazione più radicale alla tessera del tifoso è venuta da Roma, e non solo per bocca dei tifosi, si voglia mandare un messaggio del tipo “colpirne uno per educarne cento?”. E veniamo infine all’ultimo argomento di queste riflessioni domenicali. La tessera del tifoso, come avrete capito, non ci piace.

E non per ragioni strettamente calcistiche, ma perché pensiamo che questo provvedimento - lo spiega bene a pagina 16 un giovane giurista come Alessandro Veltri– leda fondamentali diritti di libertà del cittadino sancitidalla Costituzione, che per noi è una sorta di Bibbia laica, l’alfa e l’omega della nostra civile convivenza. La battaglia, carissimo Paolo Cento, dal momento che parliamo delle libertà dei cittadini, va fatta nelle sedi politichee istituzionali. Per questo pensiamo che sia del tutto fuori luogo fare della tessera del tifoso l’occasione di una polemica con l’As Roma che si è limitata ad applicare una disposizione decisa dall’autorità politica, non potendo mettere a rischio la possibilità stessa di fare la campagna abbonamenti.

Qualche cretino dirà che per il solo fatto di essere critici verso la tessera del tifoso noi siamo a favore della violenza negli stadi, che siamo tolleranti verso i teppisti travestiti da tifosi. Manco per niente. Noi siamo a favore della repressione più dura nei confronti di chi strumentalizza lo stadio o per i propri folli disegni ideologici o per sfogare una rabbia e un disagio che nascono altrove. Noi vogliamo stadi in mano alle famiglie, alle persone che vivono il tifo come una sana passione fatta solo d’amore. E pensiamo che esistano nelle leggi attuali tutti gli strumenti per agire a difesa del nostro diritto di vivere ogni domenica come una festa.

E’ giunto il tempo di una buona legge per modernizzare i nostri stadi, affidandoli alle società affinché possano farne luoghi che tornino ad accogliere il popolo del calcio sottraendolo all’obbligo della schiavitù televisiva e possano trarne legittime forme di profitto, come in tutta Europa. Per questa via si determinerebbe un circolo virtuoso che coinvolgerebbe in una comune responsabilità tutte le componenti del mondo del calcio. E si eviterebbe l’umiliazione di un paese che viene scavalcato persino dalla Turchia nella corsa agli Europei del 2016. Qualcuno sa spiegarmi perché è così difficile percorrere questa via?