
GASPORT - Soffiate, soffiate, soffiate... Chissà fin dove spingerete questa squadra pazza e bellissima, già arrivata oltre ogni immaginazione. Folle e affascinante come il suo Principe incantantore, Mirko Vucinic. Luomo dalle scarpette ciclamino sotto lo smoking e i gol pesanti come macigni. Il centravanti delle sfide importanti, il talento che rende meglio se sotto pressione, il compagno che ti tira fuori dai guai. Cuore slavo, sangue freddo e un
«E mobuttace li guanti», direbbe De Rossi se lavesse tirata lui. Ma è come se lo avesse fatto: perché Daniele e Francesco schizzano dalla panchina a rincorrere Vucinic, sotto la curva Sud. E sono abbracci, schiaffi in testa, maglie strappate, cuori in panne. Stretti stretti In «mirkese», strano miscuglio di dialetti slavo, leccese e romanesco il momento magico che sta vivendo la Roma si descrive così: se era una cosa «molto bellissima» battere lAtalanta e volare in testa alla classifica, «è la cosa più bella della vita vincere il derby e sentirsi in Paradiso», cioè ad un passo da quel sogno che comincia a prendere forma anche nelle parole, in barba alla scaramanzia.
«Vinceremo, vinceremo il tricolor...», canta lo stadio romanista. Il soffio che chiedeva Ranieri alla fine è un urlo che arriva dal cuore e finalmente oltrepassa la scaramanzia. «Vinceremo, vinceremo il tricolor...», canta lo stadio romanista. Cè voglia di stringersi, di stare stretti stretti e correre nel vento, come su una vespetta. Uniti, si può arrivare dovunque, basta guardare nella stessa direzione. Lassù, a Verona... «Non so se questa sarà la doppietta scudetto, intanto prendiamoci tre punti fondamentali, siamo in testa e vogliamo restarci», assicura Vucinic.
Maciniamo chilometri Ride, ha gli occhi sognanti. Vuole godersi questa notte magica. «È una gioia immensa, per me, per i compagni, per la Roma. Per Stefania, che mi darà un figlio. Per questa gente, che ci sostiene. È stata dura, siamo entrati in campo con troppa pressione, la sentivamo da due giorni. Il rigore parato da Julio è stato lepisodio decisivo. Poi siamo usciti alla distanza, da grande squadra » . Già, la distanza. «Se salutamo adesso, non se vedemo più», cantano i romanisti ai laziali. Ma la distanza che interessa la Roma è unaltra. « Mancano quattro partite, quattro finali», giura Vucinic. Bomba o non bomba, arriveremo a Verona. Quanti chilometri mancano?