Riconoscenza questa sconosciuta

24/04/2010 alle 13:28.

IL ROMANISTA (P. MARCACCI) - L’insuccesso, insegna Flaiano, può dare alla testa, soprattutto se preceduto da premesse e promesse di un futuro fulgido, lastricato di gloria, quello che in poche parole si addice ai predestinati, o presunti tali. La dimensione che prevale, quando si torna a parlare di Antonio Cassano, è allora la malinconia: per un destino imploso su se stesso, per un potenziale (ahi, che brutta parola, quando non conosce il seguito di un’affermazione degna!) in buona parte sprecato, per la dimostrazione di quanta capacità autodistruttiva possa accompagnare una dose infinita di talento.

Ho sentito dire che Cassano, con queste sue provocazioni, ci darebbe una motivazione in più: con quello che stiamo vivendo, mi sembra una colossale esagerazione; al massimo aumenterà i decibel dei fischi quando comparirà sul tabellone all’annuncio della formazione blucerchiata. Se qualche ricordo ha smosso, ha fatto più che altro affiorare alla memoria la percezione della valanga di ingratitudine che il pubblico della Roma si sentì rovesciare addosso, dopo aver adottato, istintivamente, un giocatore che sembrava avere tutto per fidelizzarsi ad una maglia e ad un popolo tifoso: talento inusuale, guasconeria d’altri tempi, per un certo periodo anche grande dedizione alla causa.

Ebbe un privilegio che, nella misura in cui toccò a lui, non ha più avuto nessuno: , già all’epoca miglior giocatore italiano, scudettato, simbolo di à e squadra, titolare indiscusso della Nazionale, lo elesse istintivamente come suo interlocutore privilegiato, perché riconobbe in Cassano uno dei pochi in grado di parlare il suo stesso, adamantino, linguaggio tecnico. Sappiamo tutti come finì quello che sembrava un idillio, per colpa di Cassano; anche in questo caso per sua sincera, postuma ammissione.

Se poi consideriamo, alla luce di quello che fu uno degli esborsi economici più gravosi della storia giallorossa, il "commiato" che Cassano decise di riservare alla presidenza della Roma, a cominciare da Franco Sensi, il quadro è, malinconicamente, completo. Altrettanto malinconicamente, ci rendiamo conto che lo spazio che gli abbiamo riservato è già eccessivo, ma non perché siamo caduti nella provocazione, tutt’altro: il fatto è che ci ha dato l’occasione per ricordare quanto sconosciuto possa essere, in ogni campo della vita, il termine riconoscenza. Ora basta davvero: avevamo, abbiamo ed avremo ben altro a cui pensare.