CORSPORT (M. BASILE) - Questa è una città lucidamente pazza. Paralizzata dal sogno. Matura per lo scudetto. Basta osservarla. Via Prenestina, via della Serenissima, via Tiburtina. Bandiere? Zero. Sciarpe appese alle ringhiere? Zero. Molte parabole, però. Le uniche due cose giallorosse che si notano percorrendo questo trilatero romano sono uninsegna del macdonal e un telo da mare col disegno di un delfino. Per il resto, lungo le due file di palazzoni di nove piani che si affacciano sul traffico del mattino si contano due tricolori sfilacciati, una bandiera della pace annerita di smog e una dei pirati, con il classico teschio e le ossa incrociate.
In Brasile qualcuno ha scritto che «vedere solo il pallone è come non vedere niente» intendendo lazione, il gesto atletico, lidea sfrontata di cambiare il destino di una partita, così cercare una manifestazione cromatica, un qualunque straccio giallorosso in una città pazza di Roma è come rinunciare a vedere le cose come realmente sono diventate.
Se in passato i romanisti vincevano per strada scudetti che poi la squadra perdeva immancabilmente sul campo, adesso i tifosi quasi si nascondono. «Ecché ne avemo prese poche de scoppole?» , dice una fioraia ambulante, Paola, romanista, viso rotondo e scollatura solare, davanti al muro del cimitero Monumentale del Verano, lato Portonaccio. A pochi metri, seconda strada a sinistra, cè il tempietto dove è sepolto Franco Sensi, il presidente. Pochi fiori, niente sciarpe, gli unici gagliardetti sono quelli della Roma Primi Calci depositati allinterno della cappella di famiglia.
La parte di Roma giunta a un punto dallInter appare contagiata da una strana prudenza, qualcosa di diverso dal passato, da quel finto disilluso « non succede ma se succede » che accompagnò la squadra a giocarsi lo scudetto allultima giornata, due anni fa. Qui la prudenza ha una storia lunga e dolorosa, da manovrare con cura. La nascita si fa risalire alla festa pre-scudetto che organizzarono prima di quel Roma- Lecce dell86, penultima giornata, con i pugliesi retrocessi, eppure finita con la sconfitta per 3-2 in casa. In realtà nessuno da allora è mai seriamente riuscito a contenersi. Con la Roma di Spalletti erano decine le bandiere che pavesavano le strade del centro fin dal settembre. A ottobre era fatta, a dicembre era scudetto, a gennaio Circo Massimo, a marzo era perso tutto.
Per la prima volta è come se il popolo giallorosso non si trovasse due metri davanti alla squadra, ma dietro, e lasciasse parlare di scudetto solo i giocatori.
« Noi non possiamo, per carità - mette le mani avanti Lando Fiorini, nel suo studio al Puff, Trastevere, davanti alla gigantografia della festa scudetto 2001 al Gianicolo con Totti - laltra sera cera in platea il padre di Francesco, che io chiamo lelettricista perché accende la luce della Roma, insomma cera il papà, Enzo, e io ho detto subito: ragazzi, non pronunciamo quella parola » . Eppure se i romanisti giocano a nascondersi durante la settimana, e lasciano lentusiasmo ai luoghi classici, il centro sportivo di Trigoria, Testaccio, i Roma club, quella giallorossa è unonda che cresce e che, in pochi mesi, ha portato allOlimpico il boom demografico: dai 29 mila paganti per il derby con la Lazio ai 36 mila con il Milan e i 38 mila con lInter (e 1 milione e 466 mila davanti agli schermi di Sky, record stagionale per una partita giocata alle 18).
«Uno stadio così vivo non lavevo mai visto - confessa Michele Malfetta, documentarista e tifoso dellInter, sabato allo stadio - ho pensato che il loro gol del 2-1 non fosse casuale, ma prodotto dallenergia del pubblico, come se una mano invisibile li avesse spinti alla vittoria».
Un pubblico maturo, una normalità straordinaria che farebbe felice Giampaolo Montali, luomo di riferimento della proprietà, che il primo giorno disse alla squadra: niente proclami, niente proteste, niente vittimismo. Dopo lespulsione di Taddei a Udine per proteste ( il brasiliano venne multato di 40 mila euro), i cartellini presi per proteste sono crollati del novanta per cento. Le polemiche quasi azzerate. «Non abbiamo niente da difendere - disse una volta negli spogliatoi - per questo dobbiamo solo attaccare, così si diventa grandi».
Così la Roma è arrivata alla partita di Bari, forse la più difficile. Ma lentusiasmo cè. I giocatori verranno seguiti da trediciquindicimila tifosi e in città si parla solo di Roma, certo, mentre le radio sportive locali registrano quattrocentomila ascoltatori al giorno, e si fa più intenso il tumtum di quella dolce ossessione che colpisce a tutti i livelli, come quellex prefetto che, nei fine settimana, veniva sempre strappato alla famiglia per partecipare a vertici in luoghi che, stranamente, coincidevano con le città dove giocava la Roma.
«La chiave di tutto è nel Colosseo - dice Dennis Usher, ex producer della Cbs, da anni in Italia - qui cè lo stadio più vecchio al mondo, nel dna dei romani cè lo spettacolo, la sfida, il senso della battaglia, il gladiatore ». Ma cè altro, come la superstizione, il legame mistico che lega la tribù del calcio. In Brasile, nella Basilica di Nostra Signora dellApparizione, tra Rio e Sao Paulo, cè la stanza dei miracoli, una sala grande come un museo dove accanto a ex voto modellini di navi, trattori, elicotteri campeggiano maglie del Flamengo, del Corinthians, del Botafogo, e biglietti di ringaziamento o di preghiera per Nostra Signora del Gol. Nella Roma del Vaticano ci sono più di mille chiese, troppe per non confondersi con la vita e dunque col calcio. Spesso dove un mazzo di fiori ricorda una vita spezzata, cè una sciarpa coi colori della squadra, della Roma o della Lazio. Sotto il Gianicolo, a un lato della sua ultima strada, campeggia la gigantesca foto di un ragazzo ripreso in quellattimo straordinario che precede un sorriso. Indossa un cappellino della Roma, quasi a ricordare che in una vita non completamente sbocciata una passione, almeno, era compiuta. Ma questa è la stessa città dove dicono, non proprio con queste parole, che se il Papa stesse a Milano e si affacciasse dal Duomo in un giorno di nebbia nessuno lo vedrebbe, così vestito di bianco e che, in fondo, non cavrebbe niente da vedere da lassù.
Un colpo di clacson al semaforo di viale Castro Pretorio serve a lasciare i pensieri e a immergersi di nuovo nella realtà romana: neanche gli scooteristi mostrano i segni giallorossi e sui muri non cè scritto forza Roma ma «Io la crisi delle banche non la pago». Eppure la passione scorre nelle vene di una tifoseria che ha voglia di impazzire un poco alla volta.
«E che i romani sono pieni di emozioni» , spiega Roberto, quarantanni, che vive per strada, a Trastevere. Barba incolta e mani annerite, il pc portatile sistemato tra le scatole di cartone, Roberto è uno dei filosofi del selciato che animano le strade del quartiere. « I romani, dicevo, sono pieni di emozioni, hanno voglia di godersi la vita, in fondo hanno inventato le terme, come gli antichi Egizi mi tocca pure dirlo, in fondo ci ricordano qual è il nostro compito sulla terra, qui, dove cabbiamo il Vaticano, il Colosseo e tutto il resto, è che noi siamo qui perché dobbiamo vivere di emozioni » . E il calcio? « Il calcio per i romani è emozione » .
Poche sciarpe appese zero proclami, la gioia si concentra soltanto davanti a Trigoria o nei molti Roma club E come se per la prima volta la gente sentisse che adesso il sogno è possibile Non come in passato Qualcuno fa risalire la scaramanzia dei romanisti alla famosa beffa dell86 e a quel ko subito con il Lecce Anche se la tifoseria non si lascia prendere dallentusiasmo, allo stadio è un vero boom di spettatori Anche sul satellite la squadra è diventata quella del momento Con lInter record di ascolti per un anticipo Quel rapporto quasi profano che unisce la fede alla passione per un club, che ricorda i tifosi brasiliani...