Gli scudetti si vincono subendo pochi gol

07/04/2010 alle 10:07.

IL ROMANISTA (M.IZZI) - 1941-42, BRUNELLA-MORNESE. Luigi, grande dell'anticipo. Edmondo, intelligenza super. La Lupa della stagione 1941/42 giocava applicando il metodo, uno schieramento tattico che prevedeva due terzini (Andreoli, Brunella) e un centromediano (Mornese), con i ripiegamenti dei due mediani (Donati, Bonomi).

La Lupa della stagione 1941/42 giocava applicando il metodo, uno schieramento tattico che prevedeva due terzini (Andreoli, Brunella) e un centromediano (Mornese), con i ripiegamenti dei due mediani (Donati, Bonomi). Non potendo per questo parlare di una vera e propria coppia centrale, ci sentiamo di poter asserire che i perni del pacchetto difensivo (fatto salvo capitan Masetti naturalmente), furono Luigi Brunella ed Edmondo Mornese. Per quanto riguarda Brunella, si era formato nella Vigevanesi (con cui aveva disputato tre tornei di serie B) e nel Torino che lo aveva girato alla Roma dopo un brutto infortunio al ginocchio subito dal bravo terzino. Temperamento calmo, estremamente corretto in campo, aveva nell’anticipo la sua caratteristica vincente. Brunella sapeva sempre dove il pallone sarebbe arrivato e una volta recuperata la sfera l’appoggiava senza sprecare nessuna rimessa. Tra le tante partite eccezionali disputate nell’anno del primo scudetto ci piace ricordare quella decisiva a Venezia, il 26 aprile, quando Schaffer lo mandò in campo zoppicante per un’infiammazione delle ghiandole inguinali e lui riuscì comunque ad annullare Valentino Mazzola. L’altra diga di quella Roma era Edmondo Mornese. Dopo una vita trascorsa al Novara, portò ai giallo-rossi solidità e un efficace gioco palla a terra. Il suo rendimento mostruoso nei primi mesi del campionato fu uno dei segreti della partenza lanciata di quella stagione, tanto che dopo la vittoria a Milano contro l’Inter, del 18 gennaio, Renzo De Vecchi sul Calcio Illustrato scrisse: «Il centro mediamo Mornese si riconferma come la grande firma della Roma di quest’anno (…). Ottimo nel lavoro difensivo, per intelligenza e piazzamento, rende molto anche nel lavoro di sostegno, mostrando uno stile persino perfezionato». 

1982-83, DI BARTOLOMEI-VIERCHOWOOD. Lo Zar correva per due- Ago comandava il gioco. 

E' innegabile che una delle intuizioni più azzeccate nella carriera del Barone Liedholm fu quella di "inventarsi" Agostino Di Bartolomei nel ruolo di libero. Un colpo di genio dettato dalla necessità di sostituire nel ruolo di libero il posto lasciato vacante da Ramon Turone. Il primo a non essere convinto della scelta era lo stesso Agostino, che si vedeva centrocampista col numero 10 sulle spalle e non difensore. «E’ lento, non ha il passo del difensore», erano queste le critiche più gettonate per il , che però non servirono a far cambiare idea a Liedholm. «Agostino fa correre il pallone, non è necessario che corra lui» era la sua risposta. Anche perché al suo fianco c’era un giovanissimo Pietro Vierchowod (che proprio ieri ha compiuto 51 anni), che correva per due. Lo Zar era in prestito (come Burdisso) e a fine stagione l’ingegner Viola fece carte false per provare a convincere la Sampdoria a lasciarlo nella capitale. Mantovani però non volle cedere e la storia di Vierchowod e della Roma si interruppe lì, con tanti rimpianti per quello che successe l’anno successivo alla formazione giallorossa e per la grandissima carriera del difensore. La storia tra Agostino e la Roma, invece, si interruppe il 30 maggio seguente, dentro ad un Olimpico in lacrime per un sogno svanito. Nell’anno dello scudetto, però, la coppia fu la migliore e la difesa giallorossa subì solo 24 gol: Agostino di gol ne segnò 7 in 28 presenze mentre Vierchowod fece percorso netto, 30 su 30. Insostituibili, come Nela (28 presenze) e Maldera (26) che completavano la difesa titolare, nonostante alle loro spalle stava crescendo un talento come Ubaldo Righetti, impiegato in 12 occasioni. Lo Zar e il , e la Roma vinse il suo secondo scudetto.

2000-01, SAMUEL-ZAGO. Un'altra strana coppia brasiliano-argentina

C'erano una volta un brasiliano e un argentino. E non sono Juan e Burdisso ma Antonio Carlos Zago e Walter Samuel. In quel caso fu tricolore, stavolta chissà. Un’altra strana coppia, quella formata da un giovane di 22 anni che Franco Baldini fu bravo e lungimirante a scoprire in Argentina nel Newell’s Old Boys nel dicembre del ’99 e che lasciò in patria per consentirgli di giocare (e vincere) la Coppa Libertadores. Quando di presentò a Trigoria per la sua prima conferenza stampa da romanista, si capì subito che era arrivato uno "vero". La conferma arrivò dal campo: Walter Adrian Samuel, maglia numero 19 sulle spalle, fu subito per tutti "The Wall", il muro. E proprio contro il muro andavano a sbattere tutti gli attaccanti avversari. Samuel fu un pilastro della difesa campione d’Italia e nell’anno dello scudetto collezionò 31 presenze, segnando un gol. Rimase alla Roma fino al 2004 quando, per motivi di bilancio, fu ceduto al Real Madrid. «Vado all’estero perché non potrei giocare con una maglia diversa da quella della Roma». Una promessa non mantenuta, perché poi in Italia ci tornò eccome andando all’Inter. Oggi è un’avversario. A volere Antonio Carlos Zago, poi solo Zago, fu invece Zdenek Zeman nel 1998. Forte fisicamente, testa alta e piedi da centrocampista, il brasiliano formava con Samuel la coppia perfetta. Più fisico e cattivo l’argentino, più elegante il brasiliano. A completare la difesa c’erano anche un altro mostro sacro come Aldair e un giovane Zebina, non ancora folgorato dal sole di Torino. Indubbiamente il quartetto di centrali più forti del campionato: e infatti Capello, che come Ranieri punta soprattutto sulla fase difensiva, proprio su di loro ha costruito lo scudetto giallorosso.