
IL ROMANISTA (M. MACEDONIO) - La passione per il suo lavoro risale a quando aveva dodici anni ed esordiva, nel 92, come protagonista del film Ci hai rotto, papà. Quella per la Roma, confessa Elio Germano, era invece nata molto prima.
Come ti stai preparando alla sfida di domenica
«Mettendo in atto tutte le scaramanzie possibili. Ad esempio, cerco di vedere cosa ha funzionato la volta precedente. E se possibile, provo a ripeterlo. Sia che si tratti del seguire la partita in un determinato luogo o posizione, o che si tratti di far leva su qualche scongiuro ».
A proposito quanto ritieni che possano influire gli sfottò?
«Ben vengano, sempre. Perché servono a sdrammatizzare il clima e a vivere il derby in maniera meno violenta. E uno sfogo importante, soprattutto se resta in questambito. Io sono sempre per ciò che va nella direzione opposta alla repressione. E anche un modo per stemperare la tensione».
Andrai allo stadio?
«Purtroppo no. Ho però un paio di possibilità tra cui scegliere, sempre in casa di amici».
Hai dei ricordi legati a qualche derby in particolare?
«Ovviamente mi sono rimasti dentro quelli di quando ero bambino. Sono quelli del dopo-Pruzzo, con Rudi Voeller, Haessler e i tanti giocatori di quegli anni. (Mentre parla, ha un sobbalzo, ndr). Accidenti, mi trovo davanti a un Lazio Point. E il caso che mi allontani subito
».
Come stai vivendo questa stagione?
«Se cè una cosa che mi piace di questa Roma e di questo suo momento, è il fatto di rappresentare laltra faccia rispetto allo strapotere economico delle grandi società del Nord. Avendo per giunta costruito tutto questo con lautofinanziamento e i mezzi finanziari di cui poteva disporre. Mi piace guardare sotto questa luce
anche la stagione della squadra. Dove lunione e la compattezza hanno permesso di arrivare dove siamo. Unione e compattezza che per me sono importanti sempre: a cominciare dal mio lavoro, dove tutti, in egual modo, contribuiscono per la propria parte a realizzare il film finito, lattore quanto il macchinista. Questa Roma mi ricorda un po la nazionale in quei Mondiali in cui si partiva sfavoriti, come nell82 o nel 2006, e poi si finiva campioni».
Se dovessi pensare ad uno slogan, o a uno sfottò, cosa ti viene in mente?
«Più che a uno sfottò, penso a un incitamento, che sono solito ripetere spesso. Che è il classico Daje, Roma daje. Lho detto anche ieri, alla notizia che un mio film è stato invitato in concorso a Cannes. La prima reazione è stata proprio questa, Daje, Roma daje. Che è anche il segno del rapporto che ho con questa città».
Comè nata la tua passione per questi colori?
«Non cè un momento in cui ho scoperto di essere romanista. Semplicemente, ci sono nato».