Auguri Toninho, allegria della Sud

21/04/2010 alle 12:29.

IL ROMANISTA (F.BOVAIO) - Vacanze di Natale del 1983. Così intendendo il film dei fratelli Vanzina, non l’evento in quanto tale. La trama si dipana sulle Dolomiti, a Cortina, dove tra gli altri si ritrovano Luca (Marco Urbinati) e Mario (Claudio Amendola), una vita passata insieme allo stadio a tifare la Roma. A Capodanno, durante il brindisi di mezzanotte, Luca pronuncia una battuta destinata ad entrare nella storia della cinematografia giallorossa: “Dì un po’, secondo te dove lo festeggia il Capodanno Toninho Cerezo?”. E l’altro: “Per me dorme, perché è un professionista”.

Chissà cosa starà facendo oggi, nel giorno del suo cinquantacinquesimo compleanno, Toninho Cerezo, che alla Roma arrivò proprio nell’estate dell’83 dopo un lungo braccio di ferro tra Dino Viola e la Lega Calcio, che riteneva che il suo tesseramento fosse stato concluso fuori tempo massimo e dunque non voleva ratificarlo.

Si scatenò una guerra di raccomandate, comunicati e avvocati che coinvolse anche il tesseramento di Zico da parte dell’Udinese, tanto che i tifosi friulani inalberarono cartelli con su scritto: “O Zico o Austria”. Finì con Cerezo alla Roma e il “galinho” in bianconero e quando le due squadre si incontrarono allo Stadio Friuli (proprio come accadrà stasera in Coppa Italia) i due brasiliani della Roma (Falçao e Cerezo) vennero immortalati abbracciati ai due dell’Udinese (Edinho e Zico) perché quel giorno, a Udine, era in campo quasi mezza nazionale verdeoro. Cerezo era stato in ballottaggio fino all’ultimo con Socrates, poi scartato dalla Roma. La sua successiva deludente stagione nella dimostrò che i dirigenti giallorossi ci avevano visto giusto. Ma l’arrivo di Toninho costrinse l’Ingegner Viola e soprattutto Nils Liedholm a doversi privare dell’austriaco Prohaska, fresco campione d’Italia sacrificato sull’altare della regola che impediva alle società italiane di tesserare più di due stranieri. Quel sacrificio, però, si rese necessario perché Toninho era uno dei centrocampisti più forti del mondo e nel cambio la Roma ci guadagnava in qualità. Ma Cerezo, che era ed è di un’umiltà inarrivabile, questo non l’ammise mai e quando arrivò a Roma, nonostante fosse già un campione affermato e celebrato, si mise subito al servizio di Falçao.

Ce lo disse lui stesso qualche tempo fa intervenendo nel corso della trasmissione “Bar forza lupi”: «In quel momento ero consapevole che sarei arrivato in una squadra che aveva appena vinto lo scudetto e che girava tutta intorno a Falçao, un leader vero. Dunque, una volta messo piede a Trigoria volli subito andare da lui per chiarire i ruoli. Senti, gli dissi, io non sono venuto per farti ombra, ma per mettermi al servizio tuo e della squadra. Lui capì subito cosa intendevo dire e andammo immediatamente d’accordo, anche se eravamo due tipi completamente diversi». Chi li ha conosciuti può testimoniare che è vero. Tanto elegante, preciso, diplomatico e sempre a posto Falçao, quanto scapigliato, amante delle ciabatte e dei bermuda e dinoccolato in campo e fuori Toninho. Ma insieme formavano una delle coppie di centrocampo più forti e più belle mai viste su un terreno di gioco. Nella Roma si trovarono subito bene e da una serie di loro grandi giocate nella partita inaugurale della Coppa dei Campioni contro gli svedesi del Goteborg nacque uno dei gol più belli della storia giallorossa, segnato proprio da Toninho, che era da poco tra noi ma che era già uno di noi. Tanto che qualche tempo dopo, per tirarlo su dalla “saudade” che lo aveva preso per il suo Brasile, la Sud gli dedicò uno striscione in portoghese che lo incitava ad andare avanti sostenuto dall’affetto dei tifosi. Cerezo, d'altronde, era così. Uno dal forte bisogno di sentire il calore umano della sua gente. Per questo fu anche uno dei primi calciatori a rivolgersi ai tifosi con le braccia al cielo per invitarli ad incitare la squadra. Un modo di fare molto in voga nella società e nel calcio interattivo dei giorni nostri, ma non così diffuso nei nostri stadi degli Anni 80, nei quali Cerezo fece epoca anche per questo.

Al suo arrivo nella Capitale, poi, è legato un altro episodio curioso. Alla vigilia della prima partita che avrebbe dovuto giocare all’Olimpico con la Roma era in ritiro a Trigoria con tutta la squadra. Il giorno della gara però, con tutta la squadra pronta sul pullman per andare allo stadio, era sparito. I minuti passavano e nonostante le ricerche affannate dei massaggiatori il brasiliano non si trovava. Anche Liedholm cominciava a perdere la sua proverbiale pazienza. Che fare? Il pullman doveva partire, ma si poteva andare senza Toninho? Meno male che Falçao ebbe l’illuminazione. «Avete visto in camera sua tra i due letti?». Chiese. «No», dissero i massaggiatori e risalirono le scale per andare a guardare. Come al solito Paulo Roberto aveva ragione. Trovarono Cerezo che dormiva candidamente in terra e non sul letto. Lo svegliarono trafelati e lo portarono, ancora assonnato, sul pullman per farlo partire con i compagni, che ovviamente lo sommersero di battute poco riferibili. Ma come faceva Falçao a sapere che potevano trovarlo lì? Si era semplicemente ricordato la passione di Toninho per la pesca sul Rio delle Amazzoni, che era il suo passatempo preferito quando non giocava e che lo aveva abituato a dormire meglio sulla nuda terra che in un bel letto. Ineguagliabile Toninho, altro che stress da partita. Quel giorno non si era ricordato nemmeno del suo imminente debutto in giallorosso.

E che dire delle sue gite in bicicletta a Trigoria? Sì, avete capito bene, in bicicletta, il mezzo che usava per andarsi ad allenare quando la stagione lo permetteva. Per questo, per il suo aspetto e per il suo modo di correre in campo venne soprannominato “er tappetaro” da un mondo meno razzista e più scanzonato di quello troppo serioso dei giorni nostri. Un mondo nel quale Toninho ci stava a meraviglia, con la sua innata allegria e le sue malinconie tipiche di chi è figlio di clown come lui (c’è un altro personaggio che piange mentre ride e viceversa come il clown del circo?), i suoi rigori sbagliati (una volta ne fallì due di seguito in una partita all’Olimpico con l’Inter), i suoi crampi, che lo costrinsero a lasciare il posto a Strukelj a cinque minuti dai maledetti rigori della finale col Liverpool e il suo molleggiare sul campo. Poi arrivò Eriksson, che era ancora un nordico tutto d’un pezzo che preferiva i calciatori nordici e tattici ai brasiliani giocolieri e inaffidabili. Così prima Falçao e poi Cerezo dovettero cambiare aria. Ma prima di andarsene Toninho regalò l’ultima gioia ai tifosi della Magica. Quel gol nella finale di ritorno della Coppa Italia dell’86 con la Sampdoria che poi festeggiò con un giro di campo tra le lacrime, sue e nostre.

«E pensare che prima di quella partita ero rimasto senza squadra – ci raccontò un giorno - Durante l’anno avevo avuto qualche problema con la società e verso la fine del campionato avevo saputo che Eriksson voleva cambiare gli stranieri della Roma. Così avevo firmato un pre-contratto col Milan. Ma un infortunio mi fermò nella parte finale della stagione, mentre le nazionali si radunavano per i ritiri pre-mondiali per Messico ’86. Andai lo stesso in ritiro col Brasile, ma dato che eravamo in quattro a stare male (io, Zico, Socrates e Dirceu) il medico della nazionale decise che solo due di noi sarebbero partiti per il Messico e la scelta privilegiò Zico e Socrates. In Italia alcune malelingue sparsero la voce che per quell’infortunio avrei dovuto smettere col calcio e il Milan, intimorito, rescisse il pre-contratto lasciandomi senza squadra. Insomma, andava tutto male: la Roma non mi voleva più, il Milan nemmeno e il Brasile non mi aveva portato ai Mondiali. Tornato a Roma, non partecipai alla finale di andata con la Samp, ma prima di quella di ritorno Eriksson mi chiese se volevo andare in panchina e accettai. Fu la mia fortuna poiché, vedendomi giocare i dirigenti della Samp capirono che stavo benissimo e mi vollero con loro. Quei cinque minuti mi regalarono una carriera eccezionale a Genova, dove rimasi sei anni vincendo uno scudetto, una Coppa delle Coppe e due Coppe Italia. Di quella sera ho sempre portato con me il commovente saluto che mi riservarono i tifosi della Roma, ai quali sono legato da un rapporto eccezionale che è durato anche oltre la mia cessione. Ogni volta che sono tornato all’Olimpico con la Samp, infatti, sono stato accolto come un imperatore e la cosa provocava molta gelosia nei tifosi doriani. Ma che ci volete fare: il colore di Dio è giallorosso».

E’ vero Toninho, il colore di Dio è quello. Lo sappiamo da sempre, ma tu ce lo ripeti ogni volta e quanto ci tieni a dirlo. Auguri di cuore, “tappetaro”. Se va come deve ti aspettiamo. Tanto lo sappiamo che tifi sempre per noi e siamo sicuri che sarà così anche domenica, quando si affronteranno le tue ex squadre italiane, Roma e Sampdoria. E che i doriani siano pure gelosi. Ce ne faremo una ragione.